Si fa presto a dire nonni

Lettera all’autrice, Silvana Quadrino

Cara Signora,

ho letto il suo Si fa presto a dire nonni perché consigliato e perché interessato. Interessato perché io stesso sono nonno da circa un anno.

Ho trovato per me interessanti solo alcune parti del suo libro, per le caratteristiche della mia nonnitudine, per dirla con Fulvio Ervas. Mia moglie ed io abbiamo rispettivamente 67 e 71 anni e abbiamo un solo figlio, oggi trentaquattrenne, il quale, con la sua compagna, ha a sua volta una sola figlia, la piccola Delia. Inoltre, circa 300 km ci dividono da loro, e viviamo da lontano la sua crescita, da nonni intermittenti, come dice lei. Capirà quindi che proprio quello è il capitolo che maggiormente mi ha interessato, oltre a quello finale, che potrebbe, ahimè, riguardare tutti. Cercheremo, mia moglie e io, di far tesoro di quanto da lei indicato, ma con la poco segreta speranza di non avere mai problemi tali da richiederne l’uso.

Per il resto, che dire? le sue parole d’ordine di carattere generale sono semplici e condivisibili: attenzione, ascolto, equilibrio, buon senso; ritmi rallentati, come del resto si conviene alla nostra età, e desiderio di serenità. Riassumerei il succo dell’ultimo capitolo con l’impegno a mantenere la barca pari, senza farla pendere né di qua, né di là. È un modo di ragionare che, a cose normali, non mi piace, perché rinunciatario e anche un po’ ipocrita, ma che, quando si presentano gravi difficoltà, può tornare prezioso.

Due frasi mi hanno colpito. La prima:

Contrariamente a quanto si crede, alla fine le decisioni vengono prese più sulla base di fattori emotivi che di fattori razionali; solo che questo avviene senza che ce ne accorgiamo, e facilita la comparsa di rimpianti e recriminazioni quando si presentano conseguenze inattese e indesiderate.

È una frase condivisibile: non si possono spiegare diversamente decisioni quale quella del rifiuto dei vaccini. Ma le cause di rimpianti possono essere anche diverse, al limite persino opposte, e potrei citare esempi, ma preferisco non farlo per non essere cattivo nei confronti di persone apprezzabili. Sono tanti quelli che si sono trovati a dire “sarebbe stato meglio se avessi fatto di testa mia”. Evitare completamente l’eventualità di rimpianti non è possibile, e non credo proprio che farsi aiutare dall’intelligenza artificiale, razionale per definizione, possa portare miglioramenti.

La seconda:

Fino a quaranta, cinquant’anni fa il problema delle differenze fra il modo di crescere ed educare i bambini dei bisnonni, dei nonni, dei genitori non si poneva molto: il mondo cambiava in modo lento e senza scossoni, le grandi novità, quelle che davvero modificano il modo di vivere delle persone e il loro modo di crescere i figli, non erano poi così frequenti.

È indubbio che l’introduzione di novità nelle vita di tutti i giorni ha subito, in particolare negli ultimi trent’anni, una repentina accelerazione, ma bisogna anche dire che già negli anni ’50 del secolo scorso, con la disponibilità degli antibiotici e la diffusione della televisione, molte cose erano cambiate. E sono convinto che anche i nostri genitori (i miei non ci sono più) direbbero le stesse cose riferendosi a novità sopravvenute quando erano giovani: il trauma delle due guerre mondiali, in primo luogo; il fascismo e la democrazia, ma anche il telefono, il treno, la scolarità e altro ancora. E chissà cosa potrebbero dire nonni e bisnonni: credo che proprio tutti si siano prima o poi trovati a dire “ai miei tempi”.

Grazie, comunque, per il suo libro, e a presto leggerne altri. Cordiali saluti.

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