Lavoro agile

Considerazioni e ricordi

Non saprei dire con precisione quando per la prima volta ho sentito parlare di lavoro “d’ufficio” fatto da casa. Nei miei ricordi, i primi colleghi che ebbero la possibilità di lavorare dal proprio domicilio furono Riccardo Scateni e Roberta Fantoni, dell’Enel di Pisa. Il primo era un perito che lavorava nel reparto elettrico di una unità di cui non ricordo più il nome e la seconda una signora che si occupava dell’amministrazione del personale. Tutto ciò era ed è reso possibile dalle nuove tecnologie che permettono l’accesso in cloud ai documenti e l’utilizzo in sicurezza dei propri dispositivi tecnologici. Ma all’epoca di questi fatti, io ero già in pensione o, almeno, in isopensione. Insomma, non li ho vissuti, li ho solo visti da lontano.

Poi, c’è stato CoViD 19. Inizialmente, era una malattia per la quale non c’era niente, né vaccini, né cure, e siamo tornati all’antico, indietro di ottanta anni: isolare i malati e ridimensionare i contatti interpersonali a tutti i livelli. Quarantena, insomma. Tra i provvedimenti adottati e giustamente più discussi, ci sono stati il lavoro agile, nuova denominazione (almeno per me) del lavoro da casa, e la didattica a distanza per gli studenti, in particolare per quelli delle scuole medie. Quando si sono resi disponibili vaccini e terapie, tali provvedimenti sono stati allentati, ma mai del tutto accantonati.

Ovviamente, il virus non è sparito, ma ora fa meno paura, anche se non sappiamo se sia giusto così, o se non sarebbe meglio continuare a temerlo. Ma per quanto riguarda il lavoro agile, sembra che nessuno abbia intenzione di tornare indietro. Vengono citati a suo sostegno vantaggi quali i benefici in termini di riduzione delle emissioni, di un aumento della produttività, della riduzione delle assenze per malattia, un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Per contro, si citano inconvenienti quali una ridotta capacità di trasferimento delle informazioni tra colleghi, l’isolamento sociale del lavoratore, la difficoltà di separazione tra vita personale e attività lavorativa e l’aumento involontario delle ore lavorative a discapito dei lavoratori.

Nel campo dei servizi, diventa possibile creare aziende prive di una base, o con una base molto limitata, perché i dipendenti e i collaboratori sono altrove, a casa loro, e l’azienda realizza così considerevoli risparmi su locazione, energia, mensa e altre facilities. Sarà tutto così il lavoro impiegatizio del futuro? Mah.

Volendo dire qualcosa in più sulla ridotta capacità di trasferimento delle informazioni tra la forza lavoro, cioè lo scambio di informazioni e esperienze tra colleghi: credo che nella fase attuale questo venga visto come un pregio, invece che come un difetto, o almeno come un inconveniente di poco conto, perché il rinnovamento è vorticoso e la condivisione delle esperienze precedenti può essere vista come inutile, quando non addirittura dannosa. Premesso che ciò si applica solo in determinati aspetti (ce lo vedete in officina, o in agricoltura, o in un laboratorio di ricerca?), siamo sicuri che sia corretto e che lo possa rimanere sine die? Siamo sicuri che il rinnovamento resterà così vorticoso a lungo? E in un periodo di grave recessione, cosa succederebbe dei lavoratori a domicilio? Sarebbero loro i primi a farne le spese?

Un po’ li rimpiango, i miei uffici, quello di Porto Corsini, dove avevo appeso la stampa della Torre di Pisa; quello di Beirut, adornato con due locandine di mostre bellissime; e quello di Pisa, con il poster della Bella Italiana di Pietro Annigoni. E rimpiango i miei colleghi: Sisto Bertacchi, Corinna Harghel, Piergiorgio Tonti, e tanti, tanti altri che non vedo da anni, ma che sento sempre vicini.

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