La grande ignoranza

La grande ignoranza, saggio di Irene Tinagli, Rizzoli, 260 pp, 19 €

La prima domanda da porre è questa: a chi è destinato questo libro? Se è destinato agli ignoranti, allora è inutile, perché gli ignoranti non leggono libri. Se è destinato ai non ignoranti, allora è inutilmente prolisso, perché molte delle informazioni presenti in questo libro sono ad essi già ben note. Riesce tuttavia a mettere in ordine gli argomenti in maniera encomiabile, e con questo si fa perdonare certe lungaggini.

Il libro si compone di tre parti essenziali: una prima parte analizza lo stato delle cose, con modeste concessioni al triste spettacolo dell’ignoranza esibita dai politici attuali; una seconda va alla ricerca delle cause dell’ascesa dell’incompetenza e analizza alcuni aspetti particolari della situazione presente; la terza, dopo aver passato in rassegna provvedimenti e idee maturati all’estero, espone la sua proposta per mettere un freno alla degenerazione in corso.

La tesi di fondo è questa: nel sistema attuale, la fedeltà alla linea, o ai leader che la dettano, è anteposta alla competenza delle persone, e i servi sciocchi fanno carriera politica migliore rispetto alla persone autorevoli e ancor di più rispetto agli spiriti liberi, ammesso che ancora ne esistano. Per migliorare questa situazione, non è ammissibile limitare il suffragio, perché sarebbe un vulnus intollerabile per qualunque democrazia, mentre si può (già lo si fa in alcuni paesi) sottoporre ad attenta analisi chi si candidi a posti di alta responsabilità, in particolare, in Italia, tutti i membri del Governo e i Presidenti delle commissioni parlamentari. Questo compito dovrebbe essere affidato ai membri del parlamento affiancati da personalità nominate dalle maggiori cariche delle Istituzioni, dalla Conferenza dei Rettori e dagli Albi professionali. Trascurando i dettagli, il sistema non è molto diverso da quanto accade negli Stati Uniti, e si pone nel nostro ordinamento come un voto di fiducia espresso nei confronti di ciascun candidato a quegli incarichi. Si sposerebbe magnificamente con la riforma del Senato che proponeva Gustavo Zagrebelsky nel suo Loro diranno, noi diciamo, attribuendo a detto Senato la prerogativa di esaminare quei candidati. In aggiunta a tale esame, Irene propone che prima delle elezioni politiche e amministrative siano pubblicati i dati di ciascun candidato: curriculum professionale, situazione reddituale e patrimoniale del candidato e dei suoi familiari, certificato del Casellario Giudiziale e quant’altro potrebbe essere utile per permettere ai cittadini di esprimere un voto informato.

Non c’è niente di rivoluzionario in quello che Irene propone, solo aggiustamenti utili, dettati dal buon senso e dall’esperienza. La parte riguardante i candidati alle elezioni potrebbe essere attuata facilmente in qualunque momento, basterebbe volerlo, e anche la parte riguardante ciascun ramo del Parlamento non richiederebbe grandi sforzi. La parte riguardante i candidati al Governo è un po’ più complicata, perché richiederebbe una revisione costituzionale, ma ciò non toglie che sia possibile. La domanda che si pone è un’altra: basterà? In senso relativo, può contribuire a migliorare la situazione, o almeno a non farla degenerare ulteriormente. In senso assoluto, no, perché qualcuno che sceglierà di votare per il figlio ‘e ‘ntrocchia non mancherà mai. In Italia, ahimè, il farabutto che riesce a farla franca è più stimato della persona onesta, e per cambiare questo dato non basterebbero diecimila libri.

Alcuni punti che mi hanno colpito:

La vita politica italiana non premia la riflessione e la scelta fondata sulle analisi, ma la dichiarazione a effetto, l’idea comunicabile in un tweet, la soluzione d’impatto che fa leva sugli istinti. E forse, se tweetter cominciasse di punto in bianco ad accettare post più corposi, sarebbero molti a dolersene.

Tra i giovani, la percentuale dei funzionari di partito nelle istituzioni non è minore, ma maggiore, rispetto a quella degli anziani. I giovani con i curriculum più prestigiosi stanno lontani dalla politica, hanno di meglio da fare. Ci sono eccezioni, per fortuna.

Dopo la cosiddetta fine delle ideologie, è arrivato il momento in cui comunicare era diventato più importante dell’azione politica stessa: gli uffici studi dei partiti sono stati giudicati superflui e siamo finiti in braccio ai piazzisti della semplificazione.

Difficilmente la materia sensazionale è anche buona, e poiché le emittenti televisive prediligono la materia sensazionale per motivi di audience, la qualità delle trasmissioni televisive si è deteriorata, anche, e forse soprattutto, quelle di comunicazione politica.

La possibilità di parlare liberamente e scambiare informazioni e idee avrebbero dovuto migliorare la consapevolezza delle persone e il loro grado di soddisfazione, ma non è stato così. Ben che vada, occorrerà molto tempo perché ciò accada.

L’ignoranza come nuova virtù del mondo: dalla critica di Asimov sul culto dell’ignoranza negli Stati Uniti del 1980 fino all’orgoglio di non sapere. In realtà, credo che gli ignoranti soffrano molto questo loro stato, e che per questo motivo cerchino la rivalsa. Ma questo esula dall’argomento odierno e ne riparleremo un’altra volta.

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