Rapito

Film di Marco Bellocchio

Un film bellissimo, vigorosamente antifascista.

Un bambino ebreo viene rivendicato dalla chiesa cattolica perché a sei mesi di vita è stato battezzato all’insaputa dei genitori. Non si tratta propriamente di un rapimento: il bambino, che ha sette anni, viene portato via dalla sua famiglia con il più legale dei mezzi, con una sentenza; solo, che si tratta di una sentenza emessa dal sant’uffizio nella Bologna del 1858, che fa ancora parte dello stato della chiesa, su cui regna il papa di Roma. Quella che segue è una storia che può essere interpretata in modi diversi; sta di fatto che poi, nel 1870, dopo la fine dello stato pontificio, il rapito, ormai quasi ventenne, rifiuta di ricongiungersi alla famiglia, e alla morte della madre, cercherà, respinto da essa, di battezzarla. Infine, farà una vita da missionario cattolico, per morire come tale nel 1940.

Ma quel che più conta nel film è il rifiuto di ogni convinzione autolegittimante, di ogni sistema di potere basato sul senso di colpa dal quale non si esce mai del tutto, di ogni sopraffazione, specialmente se ci sono leggi di uno stato a permetterla. Eppure, chi ha letto il Vangelo di Matteo sa bene che per Gesù Cristo l’ipocrisia è il più grave dei peccati.

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