Là dove crescono i cedri

Romanzo di Pierre Jarawan

Nelle prime due parti, questo è un romanzo di formazione con concessioni al romanzo di avventure, o forse è il suo contrario, un romanzo d’avventure con elementi di formazione del protagonista-narratore. L’argomento fa pensare alla prima interpretazione, lo stile alla seconda. La tecnica è quella del flash-back avanti e indietro che ricalca quella di Amado nella sua Bottega dei Miracoli, con l’azione che si svolge in due epoche diverse, che qui tendono a unificarsi, ma solo alla fine, nella terza parte. Per contro, la spiegazione di quanto avviene è sempre rimandata a dopo, come in un classico dell’avventura: dico e non dico, lascio capire, ma te lo spiego dopo.

La terza parte, invece, perde del tutto le caratteristiche del romanzo di formazione, per assumere piuttosto quelle del romanzo giallo, nel quale peraltro è assai semplice intuire la conclusione. E alla storia del Libano si lascia molto spazio. Il Libano è protagonista di tutto il romanzo: quella del protagonista e quelle che le stanno intorno sono famiglie di profughi fuggiti dal Libano e riparati in Germania durante le guerra civile; ma nella terza parte la storia del Libano diventa centrale. Sei subito avvertito con un proverbio: se pensi di aver capito il Libano, è perché te l’hanno spiegato male. E in fase di conclusione, il narratore cita la sua commozione al pensiero del Libano, la sua bellezza e le sue tragedie, che derivano dall’essere rifugio di tanti, i quali a un tratto cessano di convivere pacificamente.

Il cuore della terza parte, una volta messa da parte la componente di romanzo giallo, è la mancanza di una memoria condivisa di quanto verificatosi nella guerra civile, per cui esiste tuttora una narrazione diversa per ogni credo che vi ha preso parte: una verità per i cristiani, una per gli sciiti, una per i drusi e altre ancora. Il superamento di questa molteplicità richiederà tempo, e passerà, secondo l’autore, attraverso la storia di quanti sono scomparsi e mai tornati. Non c’è da stupirsi: da noi, sul ventennio e la Resistenza, c’è ancora chi cerca di contrapporre la propria verità a quella degli storici.

Per quanto mi riguarda, ho cercato i luoghi del Libano citati nel romanzo per capire se li ho visitati, e ne ho trovati nel Shouf, mentre non ne ho trovati a Beirut, anzi, per quanto ricordo io (ma nel 2002), il centro medico dell’Università Americana è lontano dal Campus, e l’Università francese del Sacre Coeur, sempre nel 2002, era più valutata dell’Università americana. Forse, sono io che ricordo male, o forse è la realtà odierna che non somiglia più tanto a quella di venti anni fa, ma poco importa.

E l’avvenire del Libano, quale sarà? Temo che sarà uno degli epicentri della lotta già in corso tra i musulmani sciiti e i sunniti, cioè fra l’Iran e l’Arabia Saudita, e lo sarà pure l’Iraq; gli altri paesi arabi del Medio Oriente sono troppo satelliti dell’uno o dell’altro, e probabilmente ne risentiranno di meno: non saranno campo di battaglia. In tutto questo si inserirà pure, fra qualche anno, il problema dei cambiamenti climatici e l’auspicabile riduzione della dipendenza dell’economia dalle fonti energetiche fossili, e allora molte cose cambieranno aspetto, con un impoverimento generale di tutti questi Paesi; ma solo fra qualche anno. Intanto, auguro al Libano di trovare una pace, anche transitoria, e ai Libanesi di godersi la bellezza e la grazia del loro Paese.

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