Aree interne: servizi e cultura 4

Visione in tempi lunghi e aree extraurbane sono aspetti separati?

Nel gioco degli scacchi, ma anche in altri analoghi in cui il caso (o la sorte) non concorre in alcun modo, si dice che vince il giocatore che sa vedere più lontano e prevedere una più lunga serie di mosse successive. Attualmente, in politica (e non solo lì) la capacità di prevedere, programmare, organizzare, comandare, coordinare e controllare (in una parola, dirigere) è ridotta a ben misera cosa: prevalgono quelli che sono bravi a rastrellare voti e capitali, anche se incapaci di gestire sistemi complessi: a parolacce, sono degli sparacazzi capaci di seguire il flusso, ma non di guidarlo. E d’altra parte, non si può pretendere che la classe politica faccia eccezione rispetto alla classe dirigente del Paese, così palesemente inadeguata. È anche vero che secondo alcuni la classe politica non dovrebbe essere composta da professionisti, ma abbiamo pure sotto gli occhi i risultati di scelte diverse fatte dagli elettori negli ultimi anni, sia in sede locale, come in sede centrale.

Esiste quindi una generalizzata mancanza di visione in tempi lunghi, che non riguarda solo le aree più lontane dai centri di potere, ma anche le altre. Ma, come abbiamo visto, le aree interne ne hanno sofferto di più, e questo, ormai, da molti anni. I motivi per i quali le aree extraurbane hanno avuto gli inconvenienti maggiori possono essere molteplici:

  • Minore attenzione ai corpi elettorali più esigui da parte dei partiti politici;
  • Scelte di accorpare le attività pubbliche, comprese scuola e sanità, in poche realtà strutturate da parte delle istituzioni nazionali e regionali;
  • Minore voce da parte delle realtà istituzionali di piccole dimensioni;
  • Maggiori difficoltà a costituire gruppi d’opinione nelle realtà civili locali.

Se per i primi due motivi citati occorre un cambio di passo da parte dei partiti politici e delle istituzioni, per gli altri due occorre un cambio di mentalità in sede locale. Vediamo se riesco a spiegarmi, perché sembra contraddittorio, ma non lo è: da un lato, si dice che ci vuole più attenzione per le piccole realtà locali, dall’altro le si invita a rinunciare a una quota della loro storia e della loro autonomia per farsi più forti e strutturate.

Accorpare i comuni e creare aree in cui recuperare e sviluppare le forze locali può essere la strategia vincente per uscire dallo stallo e ottenere migliori servizi in virtù di una migliore attenzione da parte dei soggetti esterni, ma, attenzione, non è questo il punto, perché ora ci interessa capire cosa fare in quanto sinistra italiana. E inoltre, è anche naturale che la sinistra italiana debba dedicare maggiore attenzione alle aree che ha trascurato e che debba tenerne maggior conto quando si trova ad amministrare. Quel che è forse più ostico è saper promuovere le forze locali imparando da esse e soprattutto imparando a non soffocarle.

Per ottenere questo, è necessario fare il contrario del “compagno venuto dalla città”: ben venga il compagno cittadino, ma per ascoltare, non per trasmettere direttive e imporre idee. Umiltà. Proprio il contrario di quel che è accaduto durante l’infausta età renziana, che, purtroppo, per certi versi, non è ancora terminata. Questo è il primo compito della sinistra post-renziana: colmare il gap di ascolto che ha scavato un solco tra la sinistra e le aree periferiche del Paese. Chissà che il resto non possa seguire. Si comincia di lì?

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