A voce alta

Romanzo di Bernhard Schlink

Un romanzo bellissimo.

Hanna ha una storia alle spalle: è stata sorvegliante in un lager nazista. Ma questo Michael non lo sa. Quando i due si incontrano, lei ha più di trent’anni e lui quindici; lei l’ha soccorso quando lui ha avuto un malore per strada e, una volta guarito, va a trovarla per ringraziarla. Incomincia una relazione in cui lui, oltre ad essere un amante assiduo, legge per lei ad alta voce libri di vario genere. Quando lei scompare, lui è disorientato, ma non cessa di essere un buono studente. La rivede quando lui è studente universitario di giurisprudenza e lei imputata in un processo contro ex nazisti, e scopre che anche nel lager selezionava prigioniere per farsi leggere dei libri ad alta voce. Capisce così il segreto di cui Hanna si vergogna immensamente, l’analfabetismo. Se ne vergogna a tal punto, che evita di rivelarlo anche quando ciò sarebbe molto utile alla sua difesa per evitare l’ergastolo e inchiodare le altre imputate alle loro responsabilità. Michael se ne rende conto, ma non fa niente, forse per vigliaccheria, o forse per rispetto del pudore di lei. La rivede ancora, molti anni dopo, quando sta per avere la grazia e ha imparato a leggere attraverso il confronto tra il testo dei libri della biblioteca del carcere e le letture registrate che Michael ha continuato a mandarle. La conclusione è amara.

La domanda che ci si pone è semplice: fino a che punto si può dare un dispiacere per evitarne un altro? Se Michael avesse rivelato al processo l’analfabetismo di Hanna, le avrebbe evitato molti anni di prigione, ma avrebbe scoperto un aspetto che lei, invece, voleva tenere nascosto. Cosa è giusto, in questo caso, cosa vale di più, la libertà, o il pudore? Non esiste, non può esistere, una risposta sempre valida. Michael sceglie di coprire il pudore di Hanna, e così facendo la condanna alla detenzione a vita. Hanna preferisce così, e la fine amara fa pensare che  la prigionia non l’abbia cambiata.

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