Per Matteo

Prima parte 11/11/16
Sull’elezione di Donald Trump

Caro Matteo,

Credo che in questo caso la differenza di età conti molto. Il fatto di aver visto più cose di te e vissuto momenti ben più difficili in molte occasioni mi fanno essere più ottimista di te, perché sono convinto che come abbiamo superato quei momenti (la crisi di Cuba, la guerra del Vietnam, il colpo di stato in Cile, il reaganismo … e, nel nostro piccolo, il governo Tambroni e il berlusconismo trionfante del ’94 …), supereremo anche questa prova. Difficilmente, credo io, accadranno cose tragiche e quando il biondo si renderà conto di quale responsabilità si sia caricato, farà anche presto a non mantenere niente, o quasi niente, delle sue bellicose promesse elettorali.

Hai letto anche tu l’articolo di Ezio Mauro, che fa una analisi spietata dei motivi del voto americano, per il quale sono stati decisivi uomini dimenticati dalle istituzioni, che non si vedono perché non sono un soggetto politico. Sono persone neppure povere, ma che si sentono espropriate di qualcosa che ritenevano loro diritto. Non sanno dove e quando sono stati derubati, ma credono di sapere chi lo ha fatto: l’élite, quell’insieme di istituzioni, politica, banche, affari, governi, esperti, professori e intellettuali. Ma ho letto anche quello di Serra, secondo il quale la vittoria di Trump dipende solo in parte dai nuovi disagi, e molto invece dal desiderio di rivincita del peggior vecchiume reazionario di una tragica, deprimente America bigotta, ignorante e maniaca delle armi.

Hanno ragione, ovviamente, ma bisogna subito dire, come Černyševskij, CHE FARE? Che fare per impedire che il populismo dilaghi in tutto il mondo? Che fare per evitarne i guasti? Che fare per ridare speranza a chi l’ha perduta? Queste sono domande che a sinistra ci dobbiamo porre subito, perché altrimenti quelle persone si rivolgono a destra, vanno a cercare l’uomo forte, che si esprima con durezza contro “il sistema”. Perché poi, ricordiamolo sempre, gli elettori hanno sempre ragione, a sbagliare sono le classi dirigenti, e se qualcuno, pur meritevole, non viene premiato dal voto, deve interrogarsi esclusivamente sui suoi errori.


Seconda parte 11/11/16
Sul diritto di ruttino

Caro Matteo,

Tanti anni fa, al tempo della guerra del Vietnam, c’erano negli Stati Uniti forti manifestazioni di cui rimane testimonianza anche nel film Lontano dal Vietnam, che forse riesci ancora a trovare da qualche parte, sulla rete. Era un film a più mani, c’erano fra i registi Resnais, Goddard e altri, ma in particolare William Klein, grande regista di documentari, che di queste manifestazioni fu testimone. Nella sua parte del film, si vedevano i manifestanti, ma soprattutto quelli che assistevano alle manifestazioni, in cui si distinguevano bene i sentimenti di quell’America profonda tornata oggi alla ribalta, e i suoi aspetti più truci.

In quella stessa occasione, la guerra del Vietnam, Dario Fo diceva che l’America dà ai suoi figli il diritto di ruttino. Cosa voleva dire con questo? Che gli Stati Uniti concedevano il diritto di manifestare, ma che poi i protagonisti stessi di queste manifestazioni si sarebbero guardati bene dall’andare oltre, e che peraltro, oltre quel punto non sarebbe stato consentito di andare. Insomma, un atto liberatorio, che permetteva loro, a tutti, ai manifestanti come al potere, di sentirsi a posto con la coscienza, ma niente di più. È inutile oggi, a distanza di tanti anni, dire se Fo aveva ragione oppure no, ma era comunque una voce dissonante, come sempre, rispetto alla sinistra europea che osannava quei giovani che manifestavano. Piuttosto, cosa dire delle manifestazioni di oggi? È solo un ruttino, o c’è la possibilità che non ci si fermi qui? Non ci vorrà molto per capirlo e io mi sento molto scettico.

Perché vedi, e qui sta il nostro punto, tu dici che quelli che manifestano contro l’elezione di Trump sono stati dei coglioni, perché dovevano andare a votare, invece di mettersi a protestare a frittata fatta. Ed è giusto quello che dici, ma non può bastare, perché in ogni caso, gli artefici delle nostre fortune o sfortune siamo comunque noi, siamo noi i nostri uomini politici, e se non partecipiamo attivamente, il nostro diventa anch’esso un semplice ruttino liberatorio. A noi si richiede di mettere da parte ogni pigrizia, perché la politica fatta sul serio è fatica, e di non fare come quelli che preferiscono stare in disparte a lamentarsi, invece di rimboccarsi le maniche e fare la loro parte, da noi, come in America. C’è stata persino un’attivista del 5 stelle che ha scritto “Preferisco perdere, in modo da poter continuare a lamentarmi”, ma ci sono tanti esempi della stessa cosa, questo è solo il più recente e, a suo modo, clamoroso e io non avrei difficoltà a citarne altri, citando gente importante, ma l’unico risultato sarebbe quello di allungare il brodo e uscire dal seminato. Quindi, chiudo la seconda parte, e ci sentiamo domani per la terza e, credo, ultima.


Terza parte 12/11/16
Sulla rabbia degli Italiani

Caro Matteo,

Partiamo pure dal nuovo articolo di Ezio Mauro, quello dell’incontro improbabile tra il vecchio e il nuovo segretario. Dice, in buona sostanza, che l’unità del PD è fondamentale per salvaguardare la democrazia italiana dall’aggressione degli opposti populismi, entrambi galvanizzati dal successo del populismo americano, e viene subito da chiedersi in quale misura esista il pericolo di un immediato contagio e cosa sia giusto, o almeno opportuno, fare per scongiurarlo. Per questo, facciamo un passo indietro e vediamo meglio come vanno le cose in Italia.

In cosa i problemi italiani sono diversi da quelli americani? Un aspetto importante c’è. Dal 1953 al 1992, grosso modo, lo stato italiano si è comportato come una mucca da mungere, e gli italiani ne hanno abbondantemente approfittato, a tutti i livelli. Non si trattava solo di pensioni d’invalidità attribuite con larghezza e di assunzioni facili da parte dello stato e degli enti. Si trattava anche di ditte che lavoravano per lo stato con appalti che garantivano grandi margini di guadagno e di opere inutili messe in cantiere per offrire posti di lavoro inutili. Ma quando dicono che era tutto un mangia-mangia, non ti far raccontare che ci guadagnavano solo i “politici”: molti altri ci hanno inzuppato le mani, e, attenzione, molto dell’odio che lo stato ora raccoglie è dovuto proprio al fatto che ha dovuto cessare di fare la mucca, perché a furia di far così, il debito era diventato una cosa mostruosa.

Tutto è diventato più difficile, e la rabbia si è impossessata di molti italiani, che ormai non ragionano più in termini razionali, ma in termini emozionali. Purtroppo, in molti casi si capisce benissimo che non potrebbe andare diversamente, perché i disagi esistono e sono gravi, anche se non si può certo dire che abbiano ragione quelli che fanno di tutte le erbe un fascio, aggrediscono i medici e gli insegnanti (in qualche caso anche fisicamente), se la prendono con gli immigrati e con tutte le minoranze, chiedono una giustizia che puzza tanto di vendetta. Per limitare il rischio intolleranza e xenofobia, occorre riuscire a trovare il messaggio che arrivi alla gente. Non puoi parlar loro in maniera supponente, ma bisogna riuscire a migliorare i servizi fondamentali ai cittadini, e il resto sono solo balle.

A questo punto, si aprono due impegni diversi sui quali decidere cosa fare, uno a breve termine, ed è quello del referendum costituzionale che si terrà tra poco più di venti giorni, e l’altro, più ampio, che riguarda un futuro non lontano, ma neppure immediato, per i prossimi diciotto mesi, fino alle elezioni politiche. Purtroppo, ormai mi sono già dilungato molto, e preferisco chiudere la terza parte, per rimandare il resto alla quarta e forse anche alla quinta parte.


Quarta parte 13/11/16
Sul referendum costituzionale

Caro Matteo,

Vediamo di dire subito qualcosa sul referendum, e poi, nella quinta parte di questa lettera, ci occuperemo di un futuro meno immediato. Avrai comunque notato, nelle puntate precedenti, che io considero la situazione italiana ancora più esplosiva di quella americana, perché da noi lo stato viene considerato colpevole dei nostri mali: molti si eravamo abituati a considerarlo un rifugio, che ora non è più, e per questo viene rifiutato.

La riforma costituzionale Renzi-Boschi è una solenne schifezza, e su questo non ho mai avuto dubbi. I dubbi insorgono nel momento in cui si pensa a come verrà usato il risultato. Se vince il sì, vedremo Renzi gonfiarsi come un tacchino, rifiuterà di modificare la legge elettorale e proseguirà nel suo lavoro di demolizione dei diritti faticosamente conquistati dal 69 in poi. Se vincerà il no, saranno Grillo e Salvini ad ascriversi la vittoria e a pretendere di portare il populismo al governo del paese. Sono due prospettive estreme, ma non ce ne sono altre, perché prevalgono gli oltranzisti che non sanno guardare lontano, anche se propongono ricette che sappiamo già essere perdenti nel lungo periodo, perché sono ricette che fanno presa qui da noi ancor più che altrove.

Venerdì, Floris e Severgnini, intervistati e non intervistatori, dicevano che si dovrebbero favorire le idee moderate (più Maroni che Salvini, più Parisi che Brunetta, dicevano, e si potrebbero certamente fare molti altri esempi), rispetto a quelle dalla facile presa su un elettorato disorientato, che tende a fare l’esatto contrario, perché oggi in Italia si vota con rabbia, si vota contro qualcosa e non a favore di qualcos’altro, perché non c’è più niente a cui gli Italiani danno fiducia, e per molti proprio i più oltranzisti sono diventati (incredibile, ma è così) dei modelli positivi.

Insomma, è un gran casino, perché sembra comunque impossibile fare la cosa giusta, dato che non si sa quale sia questa cosa. Il comportamento più serio, naturalmente, sarebbe guardare al merito di una riforma fatta male e bocciarla, ma sorge il dubbio: ce lo possiamo permettere, oppure nell’attuale situazione sarebbe meglio turarsi il naso, come fa Cacciari, e votare sì? È difficile a dirsi, e io credo che il dubbio non mi abbandonerà, a meno che non ci siano importanti novità nelle prossime settimane. Ma non mi faccio illusioni.

A presto.


Quinta parte 14/11/16
Sulla fiducia da recuperare

Caro Matteo,

Per combattere intolleranza e xenofobia, occorre recuperare la fiducia degli elettori nelle istituzioni e per far questo, bisogna trovare il messaggio che arrivi alla gente. Naturalmente, non si deve trattare di un messaggio fatto di discorsi, perché in questo populisti e oltranzisti ti batteranno sempre. Occorrono i fatti. Occorre migliorare i servizi fondamentali ai cittadini; occorre risolvere i problemi di vaste parti della popolazione italiana.

La lotta per il recupero della fiducia è, come sai, un mio vecchio pallino: te lo ricordi? Una volta avevo scritto un articolo sulla fiducia nella qualità delle opere pubbliche (se vuoi, te lo posso inviare), ma in quel caso era l’ingegnere che scriveva, mentre ora occorre allargare il panorama, e per far questo, è bene cominciare elencando i servizi ai cittadini che occorre migliorare. Naturalmente, bisogna non pensare al fatto che molti vorrebbero semplicemente più soldi: per quelli, non c’è ricetta che possa recuperare la loro fiducia, né, d’altra parte, si può contare su di loro per alcunché.

Si potrebbe anche partire dal significato delle cinque stelle dell’omonimo movimento: acqua pubblica, sviluppo sostenibile, mobilità sostenibile, connettività, ambiente, ma non c’è da illudersi che quanti votano per il movimento conoscano il significato delle stelle. Questi obiettivi, che dovrebbero essere tuttora il cuore del programma del movimento, sono tutti condivisibili, ma come tu capisci, è solo una provocazione, perché oggi, a Grillo e soci, interessa altro: hanno annusato il potere, e quel profumo li ha incantati.

In realtà, i motivi salienti della sfiducia su cui bisogna lavorare per l’auspicato recupero sono altri, e provo a elencarli: sicurezza, sanità, giustizia, fisco. Ci sono anche scuola e lavoro, ma nei loro confronti i pareri sono talmente discordi, che gli scontenti saranno sempre maggioranza. Mica tutti sono come te, che cambi lavoro e città senza battere ciglio! Non tutti i giovani italiani sono choosy, ma comunque i choosy, i viziati, esistono, e noi li conosciamo, è inutile menare il can per l’aia. Vuoi qualche nome? No, non è necessario.

Per perseguire i desiderata di molti italiani, ci sono due ostacoli: bisogna evitare un ulteriore dissesto del bilancio dello stato e bisogna ripristinare il rispetto delle regole. Sono imprese da eroi omerici, e ne parleremo presto, in un altro capitolo di questa ormai lunghissima lettera: domani non ci sono, vado con Piera a vedere la mostra delle ninfee di Monet a Mamiano, vicino a Parma.


Sesta parte 19/11/16
Ancora sulla fiducia

Caro Matteo,

qualcuno ha scritto che la fiducia è un sentimento ottimistico che può essere rivolto a persone o eventi; di norma la fiducia è associata alla speranza, ma in realtà chi ripone la propria fiducia in qualcuno o qualcosa non si limita a sperare che questo rispetti le sue aspettative: ne è certo. Possiamo allora dire che non c’è fiducia senza speranza, mentre forse potrebbe esserci speranza, ma non fiducia.

E allora io dico che prima ancora di recuperare la fiducia, bisogna ridare la speranza, e bisogna farlo con i fatti, e non a discorsi come per vent’anni ha fatto il Berlusca. Ridare speranza significa contrastare e battere il suo contrario, la disperazione, e a mio parere si può ridare speranza migliorando i servizi, ma bisogna tener conto di vari gradi e tipi di disperazione: ci sono, purtroppo, i disperati veri, per condizioni economiche gravemente disagiate, o con seri problemi di salute o di affetti; poi, ci sono i disperati falsi, quelli che fingono di esserlo e cercano di trarre vantaggio da questa finzione; e in mezzo a queste categorie ci sono quelli sinceramente convinti di essere dei disperati, pur in assenza di motivi inoppugnabili.

Lasciamo perdere la seconda categoria, con la quale non c’è niente da fare, se non facendo intervenire la magistratura e le forze dell’ordine. Per la prima categoria, il buon funzionamento di sicurezza, sanità, giustizia, fisco apporterebbe soluzioni o almeno sollievo, e in ogni caso, è un preciso dovere di ogni stato democratico ed europeista garantire ai propri cittadini la sicurezza, la buona sanità, una giustizia efficace e tempestiva e un fisco equo. Tutto sta a realizzare queste cose senza affossare le finanze dello stato: un confronto difficile, dal quale chi vuol governare non può tirarsi indietro.

Il vero problema che si sta profilando da un po’ di anni è quello della terza categoria. Attenzione, non sono solo gli scontenti cronici e le persone con problemi di personalità: sono in massima parte persone normali disorientate dall’accelerazione che ha preso il mondo intorno a loro; temono per questo di rimanere indietro e per questo sono diventate sensibili alla propaganda complottista, che fa credere che chi fa politica sia necessariamente un disonesto. Ovviamente, io sono strenuo nemico di questa idea, perché è un insulto a Luciano e a Fulvio, e anche a tanti altri. Però, di queste persone e dei loro problemi bisogna tenere gran conto, perché dalla salvezza di queste persone dipende la salvezza nostra e della nostra vita democratica, perché se non ti occupi di loro, si rivolgeranno a un biondaccio nostrale, o a chiunque faccia loro delle promesse, anche le più assurde, perché pur non essendo persone sciocche, sono però in una posizione che le espone a questi rischi.

La prossima volta, se vuoi, cercherò di dare concretezza a queste idee. Per ora, ti saluto.


Settima parte 21/11/16
Sugli organi di controllo

Maremma diavola, Matteo,

sai cosa mi succede in questi giorni? Sento parlare quelli del sì, e mi viene voglia di votare no; sento parlare quelli del no, e mi viene voglia di votare sì. Che miseria! La pochezza di queste persone non fa solo rimpiangere altre persone, fa venir voglia di scappare via, più lontano possibile. Ora lo dice anche Damilano, il vicedirettore dell’Espresso, che il grosso del lavoro incomincia dopo il referendum, anche se per lui si tratta soprattutto di raccogliere cocci. Credo che alla fine mi chiederò: ma Luciano come voterebbe? E, trovata la risposta, voterò di conseguenza. È prezioso avere una persona che ami, stimi e rimpiangi.

Ma ti dicevo che la volta successiva avrei cercato di dare concretezza alle idee che mi sono venute. Cominciamo però con un piccolo esercizio di copia, perché già ne avevamo parlato, e perché il “fronte del sì” insiste a dire che non esistono proposte alternative alla sua. Ciò non corrisponde a verità, essendo stato proposto, anche in sede ufficiale, un Senato eletto dai cittadini con carica di durata superiore a quella dei deputati e con la clausola della non rieleggibilità. Detto Senato, pur rimanendo estraneo all’iter della legislazione corrente, diventerebbe l’organo di controllo di quanto dispone la camera dei deputati. Esistono già organi di controllo di questo genere, non ultimo la corte costituzionale, ma averne uno eletto dai cittadini, che si affianchi a quello degli specialisti del diritto, non mi sembrerebbe un’idea sbagliata. E cerco di spiegarmi.

La corte costituzionale verifica le deliberazioni della camera sulla base del loro rispetto della costituzione, e stabilisce una giurisprudenza in materia. Il senato potrebbe invece verificare che tali deliberazioni rispondano a criteri di equità e che non portino il marchio del clientelismo. In particolare, potrebbe essere la garanzia contro la spesa facile dei deputati, che non desiderano altro che la rielezione e che per ottenerla non si preoccupano della dilapidazione delle risorse del Paese a favore dei loro votanti. I veri costi della politica stanno lì, nelle spese inutili fatte per motivi clientelari, con cui certi deputati omaggiano i loro votanti (assunzioni non necessarie, opere inutili, appalti che penalizzano le finanze pubbliche), e la riduzione di costi realizzabile abolendo le indennità dei senatori è del tutto risibile rispetto a quello che si potrebbe recuperare per questa strada.

A questo punto ti devo chiedere scusa, perché mi rendo conto che ti sto trattando come se tu non conoscessi già bene tutte queste cose, ma credo che nell’ambito di questo riassunto sia inevitabile tornare anche su questi argomenti. Tanto per dire, in definitiva, che questa riforma non è soltanto scritta male, è anche concepita altrettanto male, e l’eventuale voto “sì” avrebbe solo valenza politica, di sostegno a questo governo contro certi personaggi oggettivamente ripugnanti, perché a me persone come, per esempio, Giorgia Meloni, danno il voltastomaco.

Chissà cosa farebbe Luciano.

A presto, per qualche altro dettaglio.


Ottava parte 22/11/16
Sui servizi ai cittadini: giustizia e sanità

E ora, Matteo, visitiamo un altro po’ di argomenti all’ordine del giorno.

Dicevamo di sicurezza, sanità, giustizia, fisco, e vengono in mente tante cose. Io cerco solo di fissarne alcune, senza la minima pretesa di esaurire questi argomenti, che forse nessuno sarebbe in grado di esaurire, e che comunque possiamo trattare solo a livello di esigenze, perché le soluzioni richiedono ben altri spazi e competenze.

Migliorare la sicurezza senza ridurre gli spazi di libertà: così va presentata questa esigenza; chi lo fa in altra maniera, sicuramente nasconde qualcosa. Ci vuole una azione coordinata della magistratura e della società civile. La magistratura e le forze dell’ordine devono garantire l’ineluttabilità della pena, che è molto più importante della sua severità, la quale per altro ha un odore di vendetta inaccettabile. La società civile deve pretendere che la giustizia protegga le persone deboli da ogni sopraffazione. I potenti hanno sempre avuto in odio la giustizia, perché pone dei limiti al loro arbitrio, e la società civile deve smetterla di fare il tifo per loro: deve cessare il vezzo, molto italiano, di apprezzare di più il farabutto che riesce a farla franca, rispetto alla persona veramente onesta. Si deve intervenire sulla prescrizione e sul conflitto d’interessi, e gli italiani devono appoggiare questi interventi.

Con questo, abbiamo già parlato anche di giustizia, ma non basta, perché al di là del problema della prescrizione, la riduzione dei tempi della giustizia è comunque indispensabile per restituire fiducia all’istituzione: finché occorreranno dieci e più anni per ottenere il giusto indennizzo di un danno, o per mettere un truffatore o un usuraio in condizioni di non nuocere, tale fiducia vacillerà sempre. Alla giustizia devono essere dati i mezzi per contenere i suoi tempi, e si tratta soprattutto di risorse umane, tecnologiche e finanziarie, non di nuove leggi, e non certo di un ritorno alla giustizia inquisitoria. Senza poter riporre la loro fiducia nella giustizia, i cittadini onesti e gli onesti imprenditori si sentiranno sempre minacciati dai farabutti, e impronteranno le loro azioni a una prudenza che interdice la liberazione di tutte le energie disponibili.

Migliorare la sanità pubblica. La tesi di Umberto Veronesi da questo punto di vista è estremamente simile a quella di Gino Strada, non so se l’hai notato: rendere gratuita tutta la sanità pubblica e finanziarla con le imposte sul reddito. E se lo dicono persone come loro, pur così distanti in molti aspetti, deve esserci del buono. Il problema diventa quello di evitare gli abusi, perché al solito (facendo il verso a Ghandi) le risorse sono sufficienti per soddisfare le esigenze, ma non ci sono per far fronte all’ingordigia, all’avidità e a qualunque tipo di egoismo. Il sistema di far passare tutto per il pronto soccorso è stato a suo tempo concepito con il giusto obiettivo di evitare i ricoveri inutili, ma ha prodotto altri guasti, primo fra tutti quello delle lunghe code. Questo mi dice che la centralità del sistema ospedaliero nel sistema sanitario ha bisogno di essere rivisitata alla luce dell’esperienza, con la creazione di strutture parallele all’istituzione ospedaliera le quali facciano buona sanità, lasciando all’ospedale solo il compito principale, quello della terapia intensiva. L’iniziativa della regione Toscana, che ha deciso di ridurre il numero dei centri di spesa mi lascia perplesso. Dicono che è per ridurre i costi senza peggiorare il servizio: speriamo bene!

Ciao, a presto. E ricorda che domani, 23/11/16, tua nonna Lina compie 90 anni.


Nona parte 24/11/16
Sul fisco

Matteo, che ne dici del fisco?

Non voglio proprio addentrarmi molto in questo ginepraio, perché commetterei tali sbagli che alla fine un vero specialista della materia certamente mi sputerebbe addosso. Però, possiamo fissare due assiomi fondamentali: lo stato ha bisogno delle entrate fiscali per essere utile; i ceti più deboli non devono essere gravati di tasse. Chi promette meno tasse per tutti, sappiamo già che non sta dalla parte dei più deboli.

Non voglio neppure fare lezioni sui vari tipi di tasse e imposte. Cito soltanto la differenza tra imposizione diretta e indiretta, tra imposte sui redditi, imposte patrimoniali, tasse sui consumi. Tutto il resto sarebbe accademia, perché di meglio non so fare.

Nota però che quando si parla di riduzione delle tasse, il riferimento va quasi soltanto alle imposte dirette sui redditi, e talora (Salvini, Berlusconi) con progetti che le riducono soprattutto ai redditi più alti, invece di ridurle ai meno abbienti. Per fortuna, la costituzione, all’art. 53 dice che il sistema tributario è informato a criteri di progressività, e la riforma sottoposta a referendum non tocca questo articolo.

Ci sono invece grossi equivoci sulle imposte patrimoniali, invocate da molti, ma odiate da tutti, che è un po’ come dire: fatele pagare, ma non a me. È un argomento difficile, e non intendo provare a misurarmici, perché sicuramente direi delle sciocchezze.

Nell’impostazione classica della politica economica si dà molto spazio alle tasse sui consumi, perché facili da riscuotere, ma non sono una forma equa di tassazione, perché colpiscono indistintamente tutti, indipendentemente dal reddito e dal patrimonio. Pensa al caso più clamoroso, il prezzo della benzina, di cui solo il 3% va ai gestori delle pompe, mentre il 22% circa va ai produttori di petrolio, il 10% alle compagnie petrolifere e il 65% è costituito da tasse (accisa e IVA). Sono valori approssimati, ovviamente, perché oscillano, ma non sono lontani dal vero.

Quali tasse, quindi? Un mix, naturalmente; una miscela di tutte queste forme per arrivare a soddisfare gli assiomi anzidetti. Orientarsi verso le une o le altre è una precisa scelta di politica economica, ma, quale che sia la scelta, è necessario anche saper fare bene i conti, e non sono conti facili.

Quanto ai metodi, vorrei dire viva Equitalia, che è una vittima del populismo. Far pagare i riottosi è un preciso dovere dello stato nei confronti dei cittadini impossibilitati a non pagare (dipendenti, pensionati ecc.), e i metodi per far pagare rispondono a delle regole stabilite per legge. Equitalia si limita ad applicare queste regole, e se questi metodi non vanno bene, si devono cambiare le regole. Sacrificare Equitalia è una mossa propagandistica indegna di un governo che voglia dirsi di sinistra, è un cedimento al populismo, e io non sono d’accordo.

Ciao a domani.


Decima parte 25/11/16
Conclusioni

Caro Matteo, manca un mese a Natale, 37 giorni all’anno nuovo, e noi chiudiamo con una iniezione d’innovazione.

Tempo fa, in un incontro con il sindaco di Lucca per l’aggiornamento del programma politico, ebbi a proporre un sistema di mobilità per gli anziani. Ti ricordi? Ne abbiamo parlato. Dicevamo di un sistema tipo Uber (“Basta un clic e un’auto viene a prenderti direttamente”), concepito come un servizio pubblico a beneficio di disabili e anziani, naturalmente svincolato dai metodi schiavisti del vero Uber, la multinazionale di San Francisco. Non so se il comune di Lucca abbia sviluppato qualcosa, ma nei nostri discorsi privati ci siamo arresi di fronte all’impossibilità di realizzare un sistema di chiamata che prescindesse dall’uso dello smartphone.

Quindi, nel nostro piccolo, abbiamo già fatto ipotesi di innovazione nelle cose di ogni giorno, e ci siamo bloccati di fronte a inadeguatezze nell’interfacciamento tra le persone e le soluzioni. Che dire allora del programma Industria 4.0? Te lo ricordi? C’era un documento del MISE, il ministero dello sviluppo economico, sulla promozione in Italia della quarta rivoluzione industriale (la prima è stata quella dell’introduzione delle macchine, nel 18° secolo; la seconda quella della catena di montaggio e della produzione di massa, all’inizio del 20° secolo; la terza, quella dei sistemi elettronici di automazione e controllo, circa 40 anni fa; la quarta, in corso, l’interfacciamento digitale dei sistemi di produzione per ottenere nei piccoli lotti gli stessi risultati economici delle grandi economie di scala).

E mi chiedevo: dato che per la quarta rivoluzione occorre una intensa condivisione di conoscenze, come si fa a convincere gli Italiani a perdere almeno un po’ del loro individualismo? Senza un’industria manifatturiera competitiva non si risolve il problema occupazionale, ma mancando spesso la terza rivoluzione industriale, come si fa a fare la quarta? E come si spiega la spesa di almeno 23 miliardi per la ricerca e per la banda ultralarga a quegli italiani convinti che vadano spesi per il reddito di cittadinanza (pochi, maledetti e subito)? Come si fa a far loro capire che il vero killeraggio delle nuove generazioni sta proprio in quel pochi, maledetti e subito?

D’altra parte, è anche difficile far capire i concetti e i vantaggi della quarta rivoluzione industriale a una popolazione che ha ancora tanto bisogno di una importante crescita culturale, e in queste condizioni è facile prevedere ostacoli e ritardi: ostacoli da parte di chi non la vuole e/o non vuole destinarci risorse pubbliche; ritardi, per le incertezze che sorgeranno e per la ricerca di compromessi che non accontenteranno nessuno. Non basteranno i quattro anni previsti per arrivare a dei risultati e, temo io, non ne basteranno neppure dieci.

Forse, sarebbe più opportuno spiegare cosa si intende per innovazione, per evitare equivoci e imbrogli. È un po’ come quando si dice tecnologie, e molti intendono solo quelle dell’Information Technology, invece di un ampio, amplissimo spettro di sviluppi della ricerca. La regione Toscana promuove l’imprenditoria giovanile su nanotecnologie e fotonica: fa bene, ma non può bastare, perché la ricaduta sull’occupazione non potrà essere decisiva.

Allora, proviamo davvero a spiegarci. Quando si devono destinare risorse a un progetto, queste risorse sono necessariamente di tre tipi: risorse finanziarie, risorse tecnologiche e risorse umane. E in tutti questi campi si può fare innovazione: nel credito, nelle tecnologie e nella formazione. Il digitale può tutt’al più fare da collegamento tra queste risorse, ma è un supporto, è esso stesso una risorsa, ma da solo non serve a niente, come un binario senza treni. Il digitale inteso come veicolo di vendita ha il respiro corto: può generare profitti e occupazione nel breve periodo, ma nel periodo medio e lungo porterà solo profitti a un numero ristretto di operatori e nient’altro. In ognuno di quei campi, credito, tecnologie e formazione, per fare innovazione vera e non chiacchiere, devono operare persone competenti, e oggi io potrei dire la mia soprattutto sulla formazione, perché sul credito non so niente, e sulle tecnologie, a tre anni dalla mia uscita dal mondo del lavoro, mi sento già arretrato, mentre di cose da insegnare ne avrei tante e anche sui metodi di insegnamento e apprendimento avrei qualcosa da dire. Scriverò qualcosa su questo argomento, ma non in questa lettera, che chiudo qui, con l’auspicio di leggere presto i tuoi sviluppi.

Caro Matteo, così la penso io, e su questo sono pronto a discutere con chiunque e, in conclusione, avrai certamente notato che molte di queste idee sono maturate strada facendo, come mi accade spesso. L’esercizio della scrittura per me è molto stimolante, mi aiuta a chiarirmi con me stesso, mi permette di riflettere e affinare, evita la dispersione, ma richiede tempo e attenzione, e forse, chissà, il pregio maggiore sta proprio lì. Lo consiglio a tutti, questo esercizio.

Ciao

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