Rischio d’impresa

Un vizio antico del nostro capitalismo si ripropone in termini diversi

L’imprenditore rischia. Senza andare a disquisire su rischio economico, rischio finanziario, rischio patrimoniale, rischio penale e quant’altro, limitiamoci a dire che se l’imprenditore è onesto, rischia il suo, e scommette sul proprio lavoro fisico e intellettuale; accetta la vittoria e la sconfitta. Se non è onesto, cerca tutte le scorciatoie e rifiuta il fallimento. Sogno di ogni imprenditore è l’eliminazione del rischio, e non gli basta renderlo minimo con l’accortezza della sua condotta come è suo dovere e facoltà.

Nel nostro paese è sempre stato di moda rendere privati i guadagni e pubbliche le perdite: se ho successo, guadagno io, altrimenti scarico le perdite sugli altri. Si privatizzano le imprese che fanno utili, e si statalizzano quelle che non li fanno. Da almeno un secolo si fa così.

Ora, si pone il caso dell’epidemia di COVID 19 e il caso è emblematico, anche se non canonico: le imprese danneggiate dall’epidemia vogliono i “ristori”, e a pagarli saranno, prima o poi, i contribuenti. Se non si fa così, molte imprese chiuderanno e altre andranno comunque in gravi difficoltà e ristrettezze, con la conseguenza di perdere posti di lavoro e ritardare la ripresa, se ce ne sarà una.

Perciò, il dilemma è arduo: lasciar fallire le imprese, o scaricare sui contribuenti le loro difficoltà. In ogni caso si avrà un impoverimento dell’intera società italiana, che pagherà comunque queste difficoltà, o con la perdita di posti di lavoro, o con tasse sui consumi e sul lavoro.

Cosa farei se toccasse a me la scelta? Onestamente, non lo so. Indubbiamente, “ristorare” con i soldi del contribuente aziende decotte, tipo Alitalia e tante altre, fa rivoltare lo stomaco, ma bisogna comunque usare regole generali, non si può andare a esaminare il caso singolo e dire tu sì, tu no.

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