The Buddha in Daily Life

La meravigliosa legge del loto, di Richard Causton

Ho messo in evidenza il titolo originale inglese di questo saggio (Esperia, 360 pp, 13 €), più bello e corretto del titolo italiano, apparentemente più aulico, ma meno significativo. Me lo ha prestato Marta, questo libro, una splendida amica, che ringrazio molto. Ho terminato la lettura diverse settimane fa, ma ho preferito aspettare un po’ prima di scriverne qualcosa.

L’Autore parla delle sue esperienze con il buddismo di Nichiren Daishonin, maestro vissuto in Giappone nel tredicesimo secolo, poco prima dell’epoca di Dante e di Giotto. Per quanto ne ho capito, il suo buddismo differisce da quello dei maestri più antichi per l’assioma secondo cui è possibile raggiungere l’illuminazione nella vita presente, e non solo accumulare meriti per i quali la si otterrà nelle esistenze successive. Per far questo, occorre avere piena fiducia nella sutra del loto e recitarne il contenuto in maniera instancabile davanti al gohonzon due volte al giorno per settimane, mesi e anni, ma con la certezza che la propria situazione karmica comincerà a migliorare subito, fin dalla prima volta che si recita e anche se si ascolta soltanto.

Ma cos’è il sutra del loto?

Nella letteratura indiana, sutra è il nome dato a brevi composizioni in versi e prosa su argomenti quali scienza, filosofia ecc., scritte e tramandate con scopi rituali. Però, anche le loro raccolte in trattati più ampi sono denominate sutra. In particolare, il sutra del loto è una raccolta di insegnamenti che non si limitano a dettare le dottrine del buddismo, ma arrivano invece a comunicare una visione del mondo e a fornire indicazioni sia per il miglioramento della singola persona, sia per quello della comunità umana. Per quanto ne ho capito, è nato come testo esoterico in tempi molto antichi, perché si riteneva che non fosse ancora alla portata delle persone “ordinarie”; ha avuto diffusione solo molto tempo dopo.

E cos’è il gohonzon?

Il gohonzon è un oggetto di culto che reca delle iscrizioni. Alcune di queste iscrizioni sono preponderanti rispetto alle altre e costituiscono il cuore del messaggio, espresso in una forma simbolica in cui ogni sillaba, ogni ideogramma, ha un significato importante. Le altre iscrizioni, vergate in caratteri più piccoli, rappresentano tutti gli altri aspetti della vita, positivi e negativi. Sulla natura di questo oggetto, non si danno particolari indicazioni, anche se nell’introduzione si parla di un rotolo di carta: quello che conta è il suo messaggio.

Essendo un oggetto di culto, non si può paragonarlo agli sbalzi che riportano versetti del corano, quali ne possiamo vedere nelle case dei musulmani, neppure qualora ci fosse una somiglianza fisica. Ed è anche diverso dalle icone dei cristiano-ortodossi, che sono oggetti di culto, ma hanno forma pittorica, pur avendo in comune il fatto che i gohonzon non sono tutti uguali tra loro; ma mentre le icone sono il frutto dell’ispirazione maturata dal loro autore, i gohonzon portano scritta la legge mistica accompagnata da aspetti della vita. Non si dice quali siano questi aspetti, ma immagino che si tratti di salute e malattia, guerra e pace, amore e odio, felicità e disperazione.

Che cosa si recita davanti al gohonzon?

La prima parte della recitazione è la lettura di frasi di due specifici capitoli del sutra del loto, e in questo non differisce da quanto si fa nelle religioni occidentali: non è diverso dalla recitazione dei versetti del corano nell’islam, o dalla lettura del vangelo nel cristianesimo. La differenza può esserci invece nella recitazione, fatta a voce alta e chiara da parte di ogni praticante. La seconda parte della recitazione è costituita dalla ripetizione prolungata del titolo del sutra, Nam myo-ho ren-ge kyo, e ricorda le invocazioni dei monaci greci, come quella di cui Demetrio Stratos diceva, grossomodo: “Un frammento antico usato da sacerdoti nelle isole greche utilizza ventuno parole in tre secondi e mezzo e si ripete sempre. È una droga povera, perché agisce sul sistema simpatico e succedono delle cose strane se uno la ripete per mezz’ora”. Ovviamente si potrebbero cercare altre analogie, fare altri esempi ed evitare di chiamarla droga, ma la logica non cambia: in termini brutalmente scientifici (ma la scienza vera non è mai brutale), si può dire che si cerca di pervenire a uno stato mentale positivo mediante forme di autoipnosi.

Che si può dire in sintesi?

Posso dire che ero convinto che il buddismo fosse una filosofia, non una religione, e che ora non ne sono più tanto convinto. Ci sono almeno tre aspetti che mi fanno pensare così:

  • Il continuo richiamo alla fede, cioè alla adesione a qualcosa che non può essere dimostrato a priori e che si rivelerà dopo: come dire, tu, intanto, comincia a recitare, poi vedrai i risultati e questi ti confermeranno la giustezza della strada intrapresa. Senza una base di fede, questo non si fa;
  • L’esistenza di un oggetto di culto e di un rituale che si ripete uguale a se stesso due volte al giorno e l’esistenza di un tramite fra l’uomo e la verità, sotto forma di lettori del messaggio, inevitabili nel mondo antico, in cui la lettura era patrimonio di pochi;
  • Il richiamo alle entità, che non sono anime, perché non sono legate alla singola persona, ma sono comunque emanazioni di un universo vivente e tornano sulla terra in forme diverse in base al karma accumulato: come sarebbe ciò possibile in assenza di vita ultraterrena?

L’obiettivo resta quello dell’illuminazione, il massimo dell’esperienza umana, che permette non solo di capire il mondo, ma anche di orientare la propria vita e quella dell’ambiente umano e comunitario in cui si vive. In realtà, tutti cercano l’illuminazione: le religioni, le filosofie, la scienza sono tutte alla ricerca della verità.

Ma, forse, io questo libro non l’ho capito e quelle che ho scritto fin qui sono solo sciocchezze. Non ci sarebbe da stupirsi, perché i miei mezzi sono limitati e limitata è la mia cultura, e ci sono tante cose propedeutiche che in questo libro sono date per note, mentre invece io non le conosco. Oppure, forse, io non sento il bisogno di espandere la mia conoscenza in questo campo, perché giudico sufficiente la serenità di cui io godo, e non mi sento stimolato ad andare oltre. Certo, evito scrupolosamente di mettermi a parlare di teosofia, perché capisco che per parlarne bisognerebbe prima di tutto essere moralmente ineccepibili, e mi chiedo quanti di noi lo siano.

Qualche nota di analisi

L’analisi completa di questo libro comporterebbe la scrittura di un libro di estensione paragonabile, e quindi ci rinuncio in partenza. Quelle che seguono sono solo alcune delle molte note possibili sui punti che mi hanno colpito di più, evitando anche di ripetere cose già evidenziate.

Inferno

“Secondo il buddismo, l’inferno non è confinato in qualche luogo particolare, ma è invece uno stato di indescrivibile sofferenza che si proietta sull’ambiente esterno.”

A tal proposito, l’A. cita Primo Levi, dimenticando però che Levi non perde se stesso, ma si riafferma e sostiene quelli che sono con lui, o almeno ci prova. L’A. manca poi di evidenziare la differenza tra inferno vero e inferno percepito: basta pensare alla ragazzina che si crede brutta o grassa, dove il suo è un inferno che esiste solo nella sua mente, ma che per lei è terribilmente reale. Credo poi che, superate le credenze medioevali, nessuno, ormai, pensi a un inferno fisico nascosto in qualche profondità.

Desiderio

“I desideri sono la principale forza motrice della vita.”

Questo è vero fin tanto che si tratta di desideri che hanno un minimo di concretezza, altrimenti diventano il contrario, diventano motivi di frustrazione. Non so quali termini fossero usati in origine (leggere libri tradotti conserva sempre un margine di dubbio, anche quando la traduzione è fatta bene): forse si parlava di qualcosa che sta tra il desiderio e la speranza.

Innato

“Gli esseri umani hanno un senso temporale innato grazie al quale possono apprendere dagli eventi passati e progettare eventi futuri”.

Detto che l’uso del termine “innato” sembra la negazione dell’evoluzionismo (gli ominidi avevano già questo senso innato, o è stato acquisito nel corso dell’evoluzione? E poi, il buddismo accoglie o nega l’evoluzione?), c’è anche da dire, purtroppo, che spesso il comportamento degli esseri umani contraddice l’assunto. Quanto all’ipotesi che anche gli animali possano imparare dall’esperienza, si potrebbero fare molti esempi pro e contro, e non si arriverebbe da nessuna parte.

Saggezza

“Una caratteristica dell’uomo veramente saggio è che egli sa riconoscere la saggezza negli altri ed è più impegnato a scoprire la verità di ogni situazione che a difendere la propria opinione”.

È una frase straordinaria che meriterebbe di essere scolpita nella roccia. Peccato che molti non si comportino così, e insistano invece sulle proprie opinioni anche quando la loro erroneità si palesa.

Ku

“Il concetto di ku ha causato grandi difficoltà alle persone che hanno cercato di comprendere il buddismo nei tempi, perché si riferisce a uno stato che non è esistente, né non esistente.”

In questo e in altri punti si nota il parallelo con aspetti della meccanica quantistica. Qui, risuona il paradosso di Schrödinger, quello del gatto che in uno stato di sovrapposizione quantistica può essere contemporaneamente sia vivo che morto. È un paragone un po’ forte, più di quello che fa l’A., che parla di musica e di ricordi.

L’universo

“Se l’universo segue o meno lo stesso ciclo di nascita e morte di cui parla il buddismo è oggi materia di intense ricerche scientifiche e di dibattiti”.

Anche qui si cerca un parallelo tra le verità del buddismo e la ricerca scientifica, ma il paragone è debole, perché nella scienza si discute di molto altro, anche della possibilità che il nostro sia uno dei tanti universi esistenti, con leggi fisiche diverse dall’uno all’altro. Se ciò fosse, tutto tornerebbe in discussione, compreso il buddismo, che d’altra parte potrebbe non essere apprezzato neppure da forme di vita intelligenti diverse dalla nostra, anche nell’ambito di questo universo.

Indipendenza

“La verità della non sostanzialità non afferma che niente esiste realmente, bensì che niente esiste in modo indipendente, poiché ogni cosa esiste in virtù della sua relazione con altre cose, secondo il concetto buddista dell’origine dipendente”.

Il buddismo vede ciò in chiave mistica; l’interpretazione relazionale della meccanica quantistica lo vede come punto di forza della filosofia della scienza, nella capacità della scienza di mettersi in discussione per sovvertire l’ordine precedente e disegnarne uno nuovo, più rispondente a nuove acquisizioni, teoriche o sperimentali. Questo approccio mi piace di più, anche se il rispetto reciproco tra scienza e religione è assolutamente necessario.

Essenza

“Per iniziare a capire perché la scienza pura da sola non è in grado di comprendere la vera essenza della vita, dobbiamo tornare a Nagarjuna, i cui studi sulla non sostanzialità possono essere accomunati allo stadio degli odierni risultati scientifici”.

I progressi della scienza sono fatti di verità che si consolidano e di altre che vengono superate; ogni volta che si consolida una legge fisica o si scopre una particella, lo spazio del trascendente si restringe, ma, allo stesso tempo, si nobilita, perché lo si interpreta a un livello più alto, con un dio che non interviene direttamente nel mondo come nel paganesimo, e ne ha invece stabilito le regole.

Morte

“In realtà la morte diventa una sconfitta, o causa di rimpianti, soltanto se, avvicinandosi ad essa, ci accorgiamo di aver sprecato la nostra vita”.

Giusto. Aggiungerei che la paura della morte non ha senso né per il credente, né per il non credente, qualora siano convinti della loro fede, o non fede: il credente sa cosa l’attende e si comporta di conseguenza, e così pure, in modo diverso, il non credente. L’unico che può aver paura della morte è colui che non è sicuro della propria fede o non fede, e si dibatte nel dubbio di cosa l’attende dall’altra parte.

Lingua

“Paradossalmente, usare una lingua di questo genere (una lingua che non parla e non scrive né legge più nessuno) permette ai discepoli di Nichiren di qualsiasi nazionalità di partecipare a questa profonda cerimonia tutti insieme, ovunque si trovino nel mondo e in qualsiasi circostanza.”

In questo, il parallelo è con l’islam, in cui si usa un arabo antico, l’arabo coranico, che non parla nessuno, ma che accomuna tutti i musulmani, dal Marocco all’Indonesia e oltre. È il contrario, invece, di quanto avviene nel mondo cristiano, dove la lingua d’origine era il greco quando tutti lo capivano, per poi passare al latino quando nessuno capiva più il greco ma tutti capivano ancora il latino. Oggi, in ogni paese il cristianesimo usa la lingua ivi parlata, ma avendo io assistito alla messa in quattro lingue diverse (latino, italiano, francese a Parigi e arabo a Beirut) posso dire di non aver mai avuto difficoltà a parteciparvi. Perciò, l’uso di una lingua piuttosto di un’altra è una scelta, e come tale va rispettata, ma non si può affermare quale sia la scelta migliore, o la più valida.

Fiducia

“Mentre vediamo questi sentieri iniziare ad aprirsi nelle nostre vite, inoltre, otteniamo una fiducia sempre maggiore, tanto da riuscire a dirigere il nostro sguardo all’esterno, verso la società intorno a noi”.

È molto importante parlare di fiducia, perché sono convinto che la mancanza di fiducia (nel confronti degli altri, delle istituzioni, della religione, dei valori fondanti, della democrazia, della scuola, della scienza, della cultura, degli intellettuali ecc.) sia uno dei problemi più gravi del nostro tempo, che ci sia tanto da lavorare per cercare di rovesciare questa situazione e che sia necessario farlo. Ma qui, in queste righe del libro, occorrerebbe una maggiore chiarezza, perché non si capisce di quale fiducia si stia parlando: quella del credente nei confronti della pratica buddista, o dei credenti nei confronti delle altre persone, o delle altre persone nei confronti dei credenti ecc.; se si tratti di fiducia attiva, riposta in qualcosa, o passiva, meritata o meno che sia.

SGI

“In Inghilterra, per esempio, l’unità di base è il settore il quale, come suggerisce il nome, è la totalità dei membri che praticano e operano per kosen rufu in una particolare area o quartiere”.

Questo cenno mi ha acceso la curiosità di sapere se la SGI britannica abbia assunto una posizione sulla brexit: certamente non l’ha fatto l’A. di questo libro, che morì nel 1995. Secondo logica, lavorando e pregando per la pace universale, dovrebbe aver scelto di unirsi, non di separarsi, ma il sito di SGI-UK non dice niente al proposito, e io mi terrò la mia curiosità.

Organizzazione

“È anche una realtà della vita, però, che qualsiasi attività coinvolga più di una persona necessiti in qualche grado di un’organizzazione e più altruistico è lo scopo di quell’attività, più grande e pura dev’essere l’organizzazione che la sostiene”.

Il concetto di purezza dell’organizzazione fa sorridere, ma si capisce che si intende la necessità di un’organizzazione priva di conflittualità interna, cosa sempre auspicabile, ma che raramente si realizza. Spesso, accade che gli obiettivi delle singole persone coinvolte divergano da quelli dell’organizzazione, aprendo la strada a gravi problemi. Al di là di ciò, una comunità di persone che nasce in funzione di un’attività si può basare inizialmente sul volontariato e l’entusiasmo, ma deve poi darsi un’organizzazione, per evitare dispersione di risorse e energie e consolidare i suoi scopi. Vale sempre.

Fascismo

“Il ruolo della SGI nella società è quello di far conoscere lo spirito che dimora nelle profondità della vita per combattere simili poteri (l’autorità, il denaro, la forza bruta). Questa battaglia è un punto d’inizio per una guerra di resistenza contro il fascismo”.

L’intento è buono e lodevole, ma vengono dubbi non tanto sull’efficacia, quanto sui tempi di realizzazione: contro il fascismo, aspettare sulla riva del fiume comporta sacrifici immani, e diventa necessario integrare quest’azione con qualcosa di più immediatamente efficace. La tentazione di cercare soluzioni semplici per problemi complessi esiste sempre e sempre porta a risultati negativi: tanti sono caduti in questo tranello, pagando la caduta con crisi profonde. Il buddismo ha evitato meglio di altri di cadere, ma senza quelle integrazioni, tarderà ancora molto a ottenere i suoi risultati di fondo, e forse la specie umana si estinguerà prima che questo accada.

Nutrire

“Quando gli insegnamenti del buddismo sono oscurati o trascurati, indebolendo la forza vitale della popolazione e facendola piombare nell’apatia e nella rassegnazione al suo fato, le tre calamità e i sette disastri si manifestano perché il popolo non sta più nutrendo le forze protettive dell’universo con il potere dei suoi impulsi positivi”.

Si parla di un Giappone antico, preda dei signori della guerra, e le tre calamità, spesso associate l’una all’altra, sono la fame, la guerra e le epidemie. Nel mondo d’oggi, le forme di guerra sono profondamente diverse e, in qualche non trascurabile caso, le più pericolose non fanno uso di ferro e di fuoco, ma di armi più sottili. Ciò non toglie che la guerra sia ancora la massima delle calamità, comunque sia perpetrata, e che l’impegno al suo superamento sia necessario da parte di tutti. Quel che è di somma importanza, in questa lotta, è che i vari modi di controbattere la guerra non si scontrino fra loro, come invece a volte avviene.

Comunismo

“Il comunismo è semplicemente un’eresia cristiana, che sottolinea il bisogno della giustizia sociale con più forza di quanto facciano le autorità cristiane”.

È una tesi audace e fascinosa, ma che non tiene conto delle contraddizioni del comunismo fin qui realizzato, per cui il discorso vero comincerebbe dove l’A. lo chiude. Premesso quindi che la paura che gli “altri” hanno avuto dell’avvento del comunismo è stata una benedizione per le classi più deboli, e che in questo sta il massimo valore espresso dal comunismo, bisogna anche dire che questo libro, scritto solo venticinque anni fa, trova oggi un mondo cambiato profondamente, e che di questo dobbiamo tener conto.

Ordinarie

“La grandezza di questo buddismo risiede nella consapevolezza che le persone ordinarie possono dimostrare che è un insegnamento supremo, poiché mette nelle loro mani il potere necessario per iniziare a cambiare fondamentalmente loro stesse e il loro mondo in meglio”.

Il buddismo esiste da quasi tremila anni, e quello di Nichiren da quasi ottocento; volendo fare un bilancio, e premesso che non sono in grado di dire quanto il buddismo abbia inciso sul miglioramento delle singole persone, il potere che hanno le persone “ordinarie” di incidere sulle sorti del mondo è ancora insufficiente, e non ci sono prospettive che ciò possa cambiare nel prossimo futuro. Una volta si diceva che la religione è l’oppio dei popoli; oggi, c’è un vasto repertorio di tali droghe: non solo la cocaina, sempre più diffusa, ma anche la televisione, i social network, e mille altre. Un esame di coscienza farebbe bene a tutti, e tutti (tutte le persone e tutte le organizzazioni) dovrebbero chiedersi: sono preda di un oppio? Sto spargendo oppio? Credo che se le risposte potessero essere davvero sincere, pochi potrebbero dire di essere senza peccato.

In conclusione

La lettura di questo libro può aprire delle prospettive a chi vede tutto nero ed è alla disperata ricerca di una soluzione per i suoi problemi, e può giovare anche a quella vasta schiera di persone deluse che vi possono trovare nuovi stimoli per migliorare se stesse e il proprio rapporto con gli altri. E allora, questo libro, se può aiutare le persone a essere più serene, ha un suo significato e un suo scopo, indipendentemente dalla scelta di abbracciare il buddismo.

Il tono del libro può dare fastidio a chi non fa parte delle suddette categorie e non è sorretto da solida fede. A me, a tratti, è accaduto proprio questo.

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