Il referendum sulle trivelle

Come voterò

Spero che mi permetterete di mettere insieme alcuni spunti sul referendum del 17 Aprile, che sta suscitando interesse solo perché intrecciato con altre vicende che solo la fame di scoop dei media vede ad esso connesse. Credo invece che meriti qualche considerazione fuori dagli schemi, sia quelli di un ecologismo che rasenta l’oscurantismo, sia quelli di un opportunismo politico ancora più miope.

  1. Votare al referendum, o marinarlo?

Solo una volta, nel 1990, ho adottato una strategia flessibile: c’erano il referendum sui pesticidi e quello sulla caccia, e io scelsi di votare solo per quello dei pesticidi, per non dispiacere a molti amici cacciatori. Peccato che i cacciatori non abbiano colto questa occasione, e abbiano disertato in massa le urne, facendo fallire entrambi i referendum. Da allora, ho preso due decisioni: mai più dare credito ai cacciatori; mai più rinunciare al voto, finché mi fosse stata data la possibilità di votare. Quindi, voterò.

  1. Votare no?

Sovviene la politica estrattiva della Norvegia. Prima della scoperta dei giacimenti energetici nel mare del Nord, la Norvegia era un paese povero, e molti Norvegesi dovevano emigrare in cerca di condizioni migliori. Oggi, la Norvegia è uno dei paesi dal più alto livello di benessere, e non avrebbero difficoltà a farlo crescere ancora. Sarebbe bello che in Italia si giungesse a una paragonabile conoscenza delle risorse disponibili, che presumibilmente non sono trascurabili, e per questo si dovrebbe votare no, per permettere l’estensione della ricerca in tutto il territorio nazionale.

  1. Votare sì?

I Norvegesi sanno benissimo quali immense ricchezze giacciano sotto il fondo del loro mare, ma hanno deciso di sfruttarle solo per quello che permette loro di mantenere un livello di benessere comunque altissimo, lasciando il resto alle generazioni successive. Per fare questo, è necessario che le risorse energetiche siano gestite direttamente dallo stato, o da società private sottoposte ad attenti controlli, ed è necessario che il tasso di corruzione sia basso e sia invece alto il tasso di fiducia nelle istituzioni. Pur non avendo a disposizione tutti i dati di dettaglio su questi aspetti del paese nordico, non ci vuole molto a capire che la differenza con l’Italia non è marginale, e che qui da noi il pericolo di trovarsi domani di fronte a una politica di rapina delle risorse naturali esiste. Per questo, si dovrebbe votare sì.

  1. Conclusione: la fiducia

Come ebbi già modo di esprimermi nel 2012, la crisi della fiducia degli Italiani nelle loro istituzioni ha molti aspetti, ma un aspetto che ha effetti di trascinamento sugli altri è la profonda sfiducia nella qualità delle opere pubbliche, in particolare quelle che hanno un forte impatto sul territorio, anche solo a livello psicologico. Riguadagnare la fiducia degli Italiani è necessario per poter lavorare alla modernizzazione del paese, ma questa operazione di recupero si presenta lunga e difficile. Si tratta infatti di convincere gli Italiani non solo che è possibile lavorare correttamente per il bene comune, ma che si è animati da una forte volontà di farlo. Ebbene, fin tanto che non si sarà intrapresa e condotta a termine tale operazione, è impensabile concedere deleghe in bianco, e per questo ho deciso che voterò sì.

Cordiali saluti a tutti.

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