Sui biocombustibili

Due parole sui combustibili di sintesi di origine organica

I biocombustibili sono combustibili ricavati da prodotti vegetali quali mais, canna da zucchero e molti altri o da residui organici di varia origine. L’uso dei primi biocombustibili si perde nella preistoria e, probabilmente, il primo è stato la legna da ardere. In epoche successive sono arrivati gli oli vegetali e i distillati per arrivare oggi ai combustibili di sintesi, il più noto dei quali è il biodiesel, ottenuto con la transesterificazione di oli vegetali.

Il vantaggio di tali combustibili rispetto a quelli di origine fossile è nei tempi del ciclo dell’anidride carbonica. Prendiamo l’esempio più semplice: il confronto fra la legna da ardere e il carbone fossile.

In parole povere, la legna da ardere è fatta di pezzi essiccati di piante abbattute; il carbone fossile è costituito da vegetali morti migliaia di anni fa e mummificati da eventi naturali. In entrambi, legna e carbone, il combustibile principale è il carbonio, che si è trasformato prima in legno e poi in carbone provenendo dall’anidride carbonica atmosferica di cui le piante si sono nutrite durante il loro ciclo vitale.

Quindi, in entrambi i casi, la combustione della legna e quella del carbone restituiscono all’atmosfera l’anidride carbonica che le era stata sottratta, ma con una profonda differenza: con la combustione del carbone si restituisce all’atmosfera la CO2 che le era stata sottratta migliaia di anni fa, mentre nel caso della legna si restituisce quella sottratta da poco tempo. La restituzione a stretto giro non modifica la presenza di CO2 in atmosfera perché vi si manda quel che è stato sottratto l’altro ieri, con una forma di riequilibrio; la combustione del carbone vi immette anidride carbonica assorbita dalle piante migliaia di anni fa, e nel breve-medio periodo determina un incremento del tasso percentuale. Solo nel lungo periodo, cioè in migliaia di anni, potrebbe esserci un riequilibrio, perché potrebbero ricostituirsi le scorte di combustibili fossili, e con esse il deposito di CO2 nel sottosuolo; ma nel frattempo siamo tutti morti.

Quanto detto spiega il vantaggio dei biocombustibili rispetto ai combustibili fossili per la crisi climatica in corso.

Per inciso, lungi da me l’idea di promuovere la legna da ardere, responsabile dell’emissione di notevoli quantità di polveri, che non sono altro che ceneri sottili.

A fronte di questo vantaggio, i biocombustibili presentano inconvenienti tali da essere accusati di creare più problemi di quanti ne aiutano a risolvere: sono accusati di ridurre la disponibilità di prodotti per l’alimentazione umana e animale (è già accaduto con il mais in America Latina) e di essere molto dispendiosi in termini di impiego di terreno agricolo e di consumo d’acqua. In maggiore dettaglio, quelli che seguono sono gli aspetti più rilevanti.

La produzione su larga scala di biocombustibili presenta un deciso impatto ambientale, il cui aspetto più critico riguarda la coltivazione a scopo energetico in aree non agricole: l’espansione dei biocombustibili è un incentivo alla deforestazione di vaste aree, come già sta avvenendo in Indonesia e non solo. Se le coltivazioni assumono il carattere di monocolture, poi, c’è un impatto negativo anche sulla biodiversità.

Inoltre, il passaggio ai biocombustibili su vasta scala richiederebbe grandi estensioni di terreno agricolo e un gran consumo d’acqua per l’irrigazione. Per esempio, gli Stati Uniti non dispongono di abbastanza terra coltivabile per rifornire i veicoli della propria popolazione.

La domanda di biocombustibili ha già prodotto un rialzo del prezzo delle superfici coltivabili, e sono aumentati i prezzi dei vegetali dai quali i biocombustibili sono ottenuti; ma anche quelli di altri prodotti agricoli hanno avuto incrementi, perché la loro offerta è diminuita per la riduzione della superficie coltivata. Quindi, oltre alla riduzione della disponibilità di prodotti agricoli per l’alimentazione umana e animale, c’è da fare i conti con un aumento generalizzato dei prezzi tale da alimentare le disuguaglianze.

Ci sono anche dubbi sulla reale resa energetica: secondo alcuni, le preparazioni di alcuni biocombustibili consumano più energia di quanta se ne possa ricavare, anche se ci sono eccezioni, come quella della produzione di etanolo da canna da zucchero. Se il bilancio energetico è negativo, siamo di fronte non a fonti di energia, ma a vettori di energia, come l’idrogeno da elettrolisi, gli e-fuel e l’elettricità. La differenza tra fonti di energia e vettori di energia è un concetto importante.

C’è anche un impatto etico: non dimentichiamoci mai che viviamo in un sistema capitalista. In tale sistema, le produzioni si orientano in funzione delle migliori prospettive di profitto, e in quest’ottica, non ci si può illudere che considerazioni etiche, quali quelle della fame, possano mitigare i problemi.

Che fare, allora?

Tracciati i vantaggi e gli svantaggi di produzione e consumo di biocombustibili, viene il dubbio se non sia meglio lasciar perdere e non fare niente, ma intanto il tasso di CO2 in atmosfera sale per l’uso di combustibili fossili.

Ma capiamoci bene su una cosa: il problema sta nelle dimensioni. L’utilizzo dei biocombustibili su vasta scala, fino a sostituire integralmente quelli di origine fossile, richiedendo ampie coltivazioni, comporterebbe seri danni ambientali, oltre alla riduzione delle risorse alimentari. Ma d’altra parte, nessuno può ragionevolmente proporre di ridurre i consumi energetici al livello di quelli di duecento anni fa, o anche solo di cinquanta.

Allora, possiamo cercare di immaginare in quale modo i biocombustibili potrebbero dare un contributo meno eclatante, ma non trascurabile, al contenimento del tasso di anidride carbonica senza incorrere negli inconvenienti di cui sopra, e in questo ci può venire incontro l’economia circolare, attraverso l’utilizzo dei residui.

Residui, non rifiuti, perché nell’economia circolare i rifiuti non esistono. Esistono invece dei residui derivanti da impieghi primari, sia civili, che agricoli e industriali. Dalla parte organica di tali residui è possibile ricavare biocombustibili e, se il bilancio energetico è positivo, siamo di fronte a fonti di energia rinnovabile priva degli inconvenienti dei biocombustibili ottenuti da vegetali coltivati ad hoc; se invece il bilancio di energia non è positivo, possiamo comunque essere di fronte ad apprezzabili vettori di energia.

Non è la soluzione di tutti i nostri problemi, né, d’altra parte, si può pensare che basti lavorare in una sola direzione per contenere la crisi climatica. Però, per questa via si può ottenere un contributo che sarebbe un peccato tralasciare.

Come si può fare la sintesi dei residui? Per esempio, con un gassificatore.

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