Saltatempo

Stefano Benni e il suo libro più politico e forse più surreale

Il libro (Feltrinelli, 265 pp, 7 €) è del 2001, stampato in questa edizione nel 2003. È molto bello, sognante, ed è anche costruito molto bene, con l’ago della sua bussola che non deflette mai.

Saltatempo è un ragazzo di un paese fra le montagne dell’Appennino. Ha un rapporto speciale con la natura e con le creature che la abitano, reali o mitiche che siano. Possiede due orologi, di cui uno può far scorrere il tempo a piacere: Saltatempo crede di poterlo comandare, ma succede anche il contrario, e comunque il ragazzo non è in grado di modificare gli avvenimenti. Ci sono quindi almeno tre storie: quella reale, che incomincia dalla guerra partigiana e va avanti fino alla società mediatica; quella della crescita di Saltatempo, dei suoi amici, dei suoi amori e dei suoi studi; e quella dei suoi rapporti con il mondo mitico, popolato da divinità simpatiche e dispettose, come anche dai fantasmi delle persone che ha conosciuto, prima di tutto sua madre. È certamente più un elogio del sogno e del desiderio, che un elogio della vita naturale, mentre invece è una dura condanna dell’umana avidità.

Aspetti intriganti:

La visione di un fungo atomico di cretineria, che ha l’effetto di un rincoglionimento cosmico: è la televisione, balcone dei beniti futuri.

Il mondo che vogliamo noi va salvato ogni giorno: se molli un attimo va tutto in rovina. Non gireranno le squadracce, si sparirà in qualche nuovo modo, più elegante.

Misterioso, di Thelonius Monk: improvvisamente il mondo mi sembrò più grande, e il mio dolore un granello di polvere.

I soldi sono diventati diversi, non sono più qualcosa che tieni in tasca per comprare quello di cui hai bisogno. Sono dei macigni, che calano sulla testa della gente e la stordiscono.

È importante costruire qualcosa, e poi proteggerlo, salvaguardarlo dall’avidità e dalla ferocia, altrimenti prima o poi si estinguerà.

Citazione: «Ci hanno venduto, uno per uno. Hanno venduto le nostre povere vite e la nostra storia, per fare una storia insieme agli altri, una storia finta, che non ha neanche un lieto fine, finisce nell’indifferenza per tutto e per tutti. Se gli servirà a far voti, ci insulteranno pure.»

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