Il dono di Humbolt

Finalmente ho terminato di leggere Il dono di Humbolt, comprato per Pierangela 40 anni fa e mai letto né da me, né da lei. Per certi versi, mi ci vedo, nel personaggio di Citrine, per altri no. Per esempio, non sono un donnaiolo, e credo di avere anche un miglior equilibrio fra avarizia e prodigalità. E’ lento come tutti i grandi romanzi sono, e rallenta ancor più l’azione con le sue esternazioni di antroposofia, materia difficile oggi, ma ancor di più quando Saul Bellow scriveva. Predomina la morte, la sua e quella degli altri, anche la nostra. Io sono come mia mamma, ho paura della sofferenza, di cosa può cambiare dentro di te, ma non della morte, e credo che solo chi non è sicuro se credere o non credere in Dio possa aver paura della morte.

“…nel mio cranio si accese un bengala. Al suo vivido bagliore mi apparve chiara la curiosa situazione in cui Humboldt aveva messo Kathleen, e che ora cercherò di mettere in parole. Sta’ qui. Sta buona. Non muoverti. La mia felicità sarà bizzarra, ma una volta felice farò felice anche te, più felice di quanto hai mai sognato. Quando io sia contento, la mia soddisfazione traboccherà sul mondo, una manna per l’intera umanità. Non è questo, pensai, il messaggio del potere moderno? Così parla il tiranno impazzito, che ha appetiti singolari da saziare, e per il quale tutti han da star buoni e fermi.”

Nella rete, questa frase è sicuramente presente, da qualche parte. Io, ad ogni buon conto, la trascrivo dal libro perché la trovo straordinariamente attuale, e valida non solo per tiranni come Putin, Erdogan e quel bimbetto viziato che comanda sulla Corea del Nord, ma anche per tanti piccoli tirannelli di casa nostra, non solo in politica, ma anche in altri campi.

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