Health, joy and happiness

“Health, joy and happiness”, mi augurava a Natale Youssef, il mio vice a Zahrani, Libano. Ci penso spesso a Youssef, una persona di grande sensibilità e onestà. Eppure, ha alle spalle una storia travagliata: suo padre è morto a 75 anni quando lui, ultimo di sette figli, ne aveva due, e sua madre ne aveva 30. Sua madre giurò che non si sarebbe risposata e che avrebbe fatto laureare tutti i suoi figli, e ha mantenuto i suoi propositi. Quando scoppiò la guerra civile, nel 1972, Youssef aveva 18 anni, e sua madre, ben sapendo che sarebbe stato fra quelli che rischiavano di più, gli mise in mano dei soldi e lo mandò via, in America, e lui, che parlava il francese, ma non l’inglese, andò a laurearsi all’università della Louisiana, a Baton Rouge. Fra laurea e lavoro, tornò in Libano dopo venti anni, e rimise le sue radici a Nabatije.

Mussulmano sciita, sposato con Zeinab, che vuol dire Fiore Profumato, due bimbe, Fatima e Karin, la seconda nata quando io ero in Libano, ha vissuto la guerra del 2006, quando Nabatije è stata pesantemente bombardata. Sfollato in montagna con tutte le sue donne, compresa la madre ottantenne che si è rotta il femore durante il rientro, ha ritrovato la sua pace, e quando venne a trovarmi a Pisa, ad aprile del 2007, gli chiesi della sua casa, e lui mi disse solo “There’s a crack”, c’è una crepa. Nonostante la crepa, ha continuato a pagare le rate del mutuo, e solo nel 2014, a 60 anni, si è trovato finalmente libero dai debiti. Con tutto ciò, fa ancora più impressione ricevere da lui messaggi come quello che mi mandava ad agosto del 2011, in cui mi diceva “Thanks to God for every thing he gives us”, compresa la malattia per la quale gli è stata asportata “the gland”, la tiroide, ed è stato sottoposto alla terapia dello iodio radioattivo. E io rifletto su me stesso, vedo il mio lavoro, la mia famiglia, la mia salute, capisco come, nonostante tutto, mi debba considerare infinitamente fortunato, e debba anch’io ringraziare Dio per tutto quello che mi ha dato.