Aree interne: servizi e cultura

Dalla vittoria di Bonaccini al piano della sinistra

Sono passate due settimane dalla vittoria di Bonaccini alle regionali in ER, e ancora non si vede alcuno sviluppo della vicenda nella politica nazionale. Figuriamoci invece quel che sarebbe accaduto nel caso della sua sconfitta!

L’analisi preliminare ha detto che la sinistra prevale nelle città e la destra nei piccoli centri. Elisabetta Gualmini dice che siamo arrivati alla politica last minute, in cui conta solo l’ultimo problema emerso (o evocato ad arte) e dove nessuno può vantare una visione integrata dei tempi medi e lunghi. Sono due aspetti separati? Forse no. E allora, vediamo come si può cercare di uscire da questo ginepraio. Cosa ci occorre? Facciamo alcune considerazioni, non molte.

In primo luogo, si è detto che le aree urbane, più ricche, votano a sinistra per mantenere dei privilegi, mentre le aree meno ricche, periferie e piccoli centri, votano a destra. Siamo sicuri? Non dei numeri, che sono sotto gli occhi di tutti, ma delle motivazioni, della diagnosi sociale: siamo sicuri che nelle aree urbane si voti a sinistra perché circola maggiore ricchezza? E siamo sicuri che nei piccoli centri ci sia davvero una minore ricchezza? Non sarà, piuttosto, una questione di servizi? L’immagine che votino per la stabilità le aree meglio servite dai trasporti, dalle scuole, dalla sanità, dalle forze dell’ordine non è assurda, come non lo è il voto per nuovi equilibri dove ci sono non tanto minore ricchezza, quanto peggiori servizi. Cosa dice, a questo proposito, il piano per le aree interne a cui si sta lavorando da anni, ma che finora non ha trovato applicazione? Varrebbe la pena di conoscerlo meglio, nelle sue premesse e nei suoi sviluppi, nella sua non trascurabile complessità, ma non credo che manchino riferimenti utili per i miglioramenti nelle aree in questione: strade, ferrovia locale, scuole e ospedali da non chiudere, ma da rivitalizzare almeno per i servizi essenziali, medicina d’urgenza e scuola dell’obbligo. Tiriamolo fuori, questo benedetto piano, spieghiamolo a tutti!

E poi, ci sarà una questione culturale? Dice oggi Troilo (Huffpost) che si è estinta la sete di cultura che c’era nei decenni passati, e ne cerca i motivi senza trovarli. Mi torna in mente una cosa già detta, anzi due: la sinistra non gode più dell’egemonia culturale e deve darsi da fare per recuperarla; la cultura egemone non è quella più profonda, ma quella che mette le radici più profonde. Oggi non si possono dividere gli Italiani tra quelli che guardano la televisione e quelli che vanno a teatro, perché esistono infinite sfumature intermedie e ci sono anche quelli rifiutano entrambe le opzioni per rifugiarsi invece ancora più in basso (nei cosiddetti social) o molto più in alto (nel volontariato). Ma ci sono soprattutto le persone normali, che fanno un po’ di tutto questo e molto altro ancora. Il fenomeno delle sardine è proprio un’espressione di queste persone.

Cultura e servizi: sembra un binomio superato dai tempi, che vedono in auge il culto dell’ignoranza, vivo da sempre in America e ora vitale anche da noi, e un individualismo sfrenato che sconfina spesso nel più bieco egoismo: per molti, l’unico vero miglioramento desiderabile, purtroppo, consiste nell’avere più soldi a disposizione. Ma siamo poi sicuri che non si possano ottenere buoni risultati a costi non proibitivi proprio agendo su quel binomio? È da approfondire, ma oggi chiudiamo qui.

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