Un epistolario con Matteo

7 lettere tra il Novembre 2013 e il Gennaio 2014

Carissimo,

non ricordo a memoria di essere mai stato diretto ed esplicito con te, almeno per quanto riguarda le mie faccende personali; forse perché l’essere diretta ed esplicita di mamma mi porta a chiacchierare di più con lei di queste cose, o forse perché ama i pettegolezzi più di te. Nonostante questo, io non credo di aver mai vissuto un periodo così confuso ed incerto per quanto riguarda la mia vita personale, e perciò ho un necessario bisogno di capire quello che mi sta accadendo, per poi prendere la giuste decisioni.

Credo di aver ereditato da voi una certa capacità di tirare fuori i coglioni nei momenti un po’ complicati, che in ambito lavorativo mi da una certa sicurezza e convinzione nei miei mezzi, anche e soprattutto nei periodi davvero incasinati; ma per il resto, e questo soprattutto nella mia vita privata, non riesco più a mettere a fuoco tutto quello che mi circonda, e la mia convinzione e sicurezza vanno a farsi gentilmente benedire. I fatti sono bene o male noti, però credo che sia giusto porgerli di nuovo alla tua attenzione per farti capire meglio.

Dopo due mesi a mio avviso splendidi, in cui ho vissuto veramente bene la mia storia con Cristiana, siamo arrivati, ahimè, al punto di chiudere la nostra storia, per il semplice fatto che io ero già oltre una soglia che lei, per ovvie ragione, non poteva e/o voleva raggiungere. Non ho rammarico e rimpianto di niente con lei, sono consapevole di aver fatto tutto nel modo più giusto, sia per me che per lei, ma ovviamente, tutto questo in me è ancora in parte vivo per potermi completamente dimenticare di lei (e non è detto che mai ci riesca del tutto). Dopodiché questa mia confusione conseguente, mi ha portato ad essere distratto, ad agire secondo istinto invece che seguire la mia razionalità, ed è da questo secondo me che dipende quello che è successo con Francesca, una ragazza alla quale mi sono molto legato come amico, e che nonostante questo, una sera a casa mia siamo finiti a letto dopo una cena, appunto, che doveva essere solo tra amici. Come penso tu sappia, ma te lo ribadisco ugualmente, le mie sensazioni con questa ragazza non vanno minimamente aldilà della semplice amicizia, ma il mio essere sincero su questo argomento con lei, l’ha portata solamente a sentirsi offesa, usata e ferita da quello che abbiamo vissuto insieme. Se ero già distratto, questa cosa mi ha parecchio destabilizzato (visto che il concetto piace tanto in questo periodo, lo uso anch’io), e ha fatto tornare in me tutte le insicurezze e le ansie che provo ogni volta che c’è una ragazza che mi piace, sulla quale voglio fare colpo, cosa che mi è accaduta nel weekend appena trascorso.

Le mie distrazioni, i miei continui sbuffi e sospiri, non fanno altro che comunicare che la mia mente sta lavorando senza sosta, ed il fatto che stia lavorando indica che nella mia testa non c’è chiarezza, bensì confusione. Paura, ansia, insicurezza, si sono di nuovo insinuate in me dopo mesi che non le sentivo più, un po’ grazie al lavoro, ed un po’ grazie alla mia storia con Cristiana, che oltra alla felicità che ti accennavo, mi dava tanta, tanta sicurezza in me stesso. Tu trovi sempre parole importanti, per qualunque problema o chiacchierata che noi facciamo, di qualunque argomento trattino: avresti qualche parola importante anche per tutto quello che ti ho qui scritto?

Con affetto ti abbraccio

Matteo

 

Caro brindellone,

ti ringrazio per la fiducia, ma non so fino a qual punto ti potrò aiutare sul serio.

I casi che mi esponi sono completamente diversi l’uno dall’altro, e a mio parere non riflettono un problema tuo, ma problemi diversi. Direi quasi che Francesca ha fatto con te, pur con le diversità del caso, quello che tu hai fatto con Cristiana. F credeva una cosa, e c’è rimasta male quando ha capito che le cose stavano in maniera diversa. Proprio come te con C.

Non so quanto questo ti possa aiutare, ma da qui a parlare di destabilizzazione ce ne corre. Le insicurezze e le ansie di cui parli sono il risultato immediato di fatti spiacevoli che ti hanno colpito basso, ma sono cose che passano. L’unica cosa che devi fare è di essere fedele a te stesso, pur cercando di imparare dall’esperienza. Voglio dire: limare, affinare le tue caratteristiche senza cercare di cambiarle, perché vanno bene così come sono, e abbisognano solo dei ritocchi che il tempo porta con sé. In fin dei conti, vale anche qui quello che ti dico sempre per il lavoro: imparare qualcosa ogni giorno.

Devi stare attento, invece, alle ragazze su cui vuoi fare colpo, perché, conoscendoti, sai che per te ogni volta rischia di diventare una faccenda fin troppo seria, e questo porta sicuramente a problemi e delusioni. Prenditela calma, andrà tutto meglio e sbufferai meno. È logico, alla tua età, aver fretta di vivere, ma un po’ più di pazienza non ti farà male, e forse, se mi è permessa una battuta, migliorerà anche i tuoi rapporti con Equitalia.

In attesa di parlarne a voce quando vuoi, ti saluto con affetto.

Stefano

 

Caro Boss,

innanzitutto, ti chiedo scusa se rispondo solo ora alla tua email, ma tra lavoro, organizzazione di weekend fuori porta, e impegni di vario e altro genere, non ho mai avuto un minuto per riguardare la risposta che mi inviasti giorni fa.

Direi che, come abbiamo avuto modo di convenire a voce, i tuoi punti di vista su tutte le mie domande sono stati esaurienti, e motivo di chiarimento ai miei dubbi. E’ chiaro che dopo tutta una serie di circostanze poco piacevoli per me, l’unico modo che avevo ed ho per superarle, è quello di farle mie, fare tesoro di quello che mi hanno dato e detto, e tenerle presenti per ciò che mi si prospetterà in futuro. Non sarà una cosa semplice, perché come tu sai per determinate cose, il mio processo di apprendimento nella vita è lento, richiede un continuo “update” delle conoscenze e delle esperienze, ma dall’altro lato, il mio carattere poco paziente vorrebbe tutto e subito, e questa è una cosa che, dopo tutto quello che ti scritto e/o raccontato, non posso e non voglio più permettermi. La calma prima di tutto, un passo alla volta, soprattutto con Linda, la ragazza che sto frequentando ora. Come direbbe Mamma, “troppa, troppissima furia” non fa mai fare le cose giuste, specie quando si tratta di sentimenti; per cui, giorno per giorno, vedrò dove si andrà a parare, sia con lei, che con me stesso.

Per arricchire questa “nuova puntata” delle nostre riflessioni telematiche, vorrei esporti la mia idea su quello che sta succedendo all’interno del Partito che, secondo me e te, dovrebbe riflettere meglio le nostre idee politiche e di gestione del nostro Paese. Io comprendo sempre la necessità che ci sia una stabilità, un ente che dia la certezza di una governabilità che ci tenga lontani da mani losche. Ma, nel caso del voto di fiducia di ieri, posso dirti che dal mio punto di vista, la figura fatta è stata penosa, si è perso un’altra buona occasione per fare la cosa giusta, per dare un esempio su come ci si deve comportare e su come dovrebbero essere gestiti e non tollerati certi comportamenti di carattere personale. Io non riesco a capire perché ci sia questo comportamento, apparentemente omertoso, rispetto al Governo e a chi lo ha voluto (che tra l’altro, non passa giorno che faccia scelte a mio avviso non giuste, e deludenti nei confronti del rispetto che portavo per Lui), ma di fronte a certe situazioni, l’omertà non dovrebbe esserci, ne dovrebbe essere presa neanche in considerazione. Per questo, dico, ci vorrebbe un Segretario non che cambi il Partito in se, ma le idee che il Partito fa trasparire al suo esterno, perché ora come ora, il Partito non lascia trasparire idee, ma solamente confusione. Su questa riflessione, ti annuncio che non voterò alle primarie del PD, perché a mio avviso, manca tra i candidati Segretari, uno che abbia le palle di fare un cambiamento prima culturale, e poi politico. Più andiamo avanti, e più mi convinco che la tua frase che mi dicesti mesi e mesi fa, abbia una valenza fondamentale: “In Italia una rivoluzione in senso lato non serve a niente, in Italia c’è bisogno che avvenga una rivoluzione culturale”. Questo è quello di cui l’Italia ha bisogno, di cui il PD ha bisogno, ma non vedo nessuno che possa portare avanti questa rivoluzione.

Aspettando che qualche cosa si smuova in tutto questo, ti saluto e ti abbraccio

 

Carissimo,

ti rispondo oggi, ma ti ho già risposto altre volte sulle questioni che sono sul tavolo, l’ultima domenica giusto a tavola, e non ho molto da aggiungere a quanto detto. Lo riassumo in due righe:

Il partito deve essere una fucina di idee per gli anni a venire, idee che concorrono alla formazione del programma per le elezioni successive, mentre gli eletti devono gestire l’incarico che hanno assunto su mandato degli elettori;

Quando termina un mandato il corpus fondamentale dei candidati va formato con le persone che hanno maggiormente concorso alla preparazione del programma, fatta salva una quota limitata di persone con esperienza.

Come ti dicevo, questo dà modo di ottenere molti risultati interessanti, quali:

Il contatto costante di chi prepara il programma con la base del partito, cioè con gli iscritti, i quali costituiscono la fucina di idee; questo contatto deve essere tenuto dal partito, mentre gli eletti si devono concentrare sul compito loro affidato, di governo o, male che vada, di opposizione;

La possibilità di preparare un programma con tutto il tempo a disposizione, mentre altri gestiscono il mandato elettorale ottenuto, non meno di cinque anni, ma auspicabilmente dieci, che è la durata in carica di un sindaco “normale”, che non sia né un Alemanno, né un Giorgio La Pira, che se avessimo un La Pira lo vorrei sindaco a vita;

Il ricambio del personale politico con un periodo medio di 11-12 anni.

Come ti dicevo, la preparazione di un programma non consiste nello stilare un elenco di cose da fare (quello si chiama piano, e non programma) ma richiede anche che si faccia un confronto/bilancio con le risorse da utilizzare (risorse umane, finanziarie e tecnologiche) da attribuire a ciascuna voce del programma e che si indichino delle scadenze. Se tutto questo non c’è, non si può usare il nome di programma, sarebbe un imbroglio chiamarlo così. E capisci subito che un lavoro così vasto e profondo non si fa né in tre mesi, né in un anno: occorre molto di più.

Il fatto che si facciano errori, siano essi di comunicazione o di altra natura, colpisce e addolora, ma non mi scandalizza, forse perché so di aver visto accadere cose assai peggiori, sia nel nostro paese, sia in molti altri. Quello che è necessario fare, è non dimenticare, e imparare sempre dagli errori commessi. Anche di questo abbiamo parlato molte volte, su molti argomenti, e questo non fa eccezione, perché sempre si intrecciano vicende pubbliche e fatti personali, e tu sai quanto sia difficile imparare dall’esperienza degli altri, specialmente quando sono in corso lotte generazionali a tutti i livelli e ognuno è convinto di essere più bravo degli altri. Ci vuole tanta umiltà, per imparare dall’esperienza degli altri, e se tutti i giorni, dopo la doccia, si facesse anche un bel bagno di umiltà, si uscirebbe puliti non solo nel corpo, ma anche nella mente, e tutto sarebbe più facile e più bello.

Per tornare a discorsi più generali, inserisco una citazione:

“In realtà, la conoscenza necessaria per assumere decisioni pubbliche che siano davvero di interesse generale non è concentrata nelle mani di pochi. Questa conoscenza è dispersa fra una moltitudine di soggetti, privati e pubblici, ognuno dei quali possiede frammenti di ciò che è necessario sapere: ne fanno certo parte i grandi imprenditori, ma anche quelli non grandi; i tecnici degli organismi internazionali o proto-federali, ma anche quelli di migliaia di centri di competenza e ricerca; ne fanno parte i pubblici amministratori, ma anche i quadri dei corpi intermedi della società; ne fa parte il ceto medio urbano, ma anche i lavoratori dell’industria e dei servizi sociali. Muta quindi, questa conoscenza, al cambiare dei contesti a cui quelle decisioni pubbliche si applicano, ovvero il loro effetto dipende dai contesti. Ancora di più: la conoscenza necessaria spesso neppure esiste quando sorge un problema o un’opportunità; essa scaturisce piuttosto come “innovazione” dal confronto e dal conflitto fra molteplici soggetti che possiedono conoscenze parziali.”

Ovviamente, chi scrive è Fabrizio Barca, e, volendo riassumere, chiede il contributo di tutti “per assumere decisioni pubbliche che siano davvero di interesse generale”. Se qualcuno non dà il suo contributo, poi non si lamenti. Barca chiama tutto questo “mobilitazione cognitiva”, che non deve, bada bene, essere fatta per divulgare tra gli iscritti le idee del vertice, ma al contrario, deve dare modo alle idee della base di emergere e riempire di sé il programma del partito, il quale diventa così un partito palestra che offre lo spazio necessario alle idee che emergono.

Detto questo, ricordiamo che si tratta in queste primarie di scegliere il segretario del partito, cioè colui che deve far funzionare il partito in maniera che sia la fucina che si diceva. L’ideale in questo momento sarebbe proprio lui, Fabrizio Barca, ed è un vero peccato che non si sia candidato. D’altra parte, vedo che Renzi e Cuperlo parlano invariabilmente di politiche di governo che il partito deve sostenere, e non parlano mai di funzionamento del partito, forse perché a Renzi il funzionamento del partito non interessa, e preferisce scegliere i suoi collaboratori altrove, mentre Cuperlo sembra convinto che il funzionamento del partito non debba essere riformato. Forse è per questo che Fabrizio Barca e Laura Puppato hanno sposato la causa di Pippo Civati, ed è certamente per questo che io lo voterò domenica prossima. Intendiamoci, non so se sia davvero la persona giusta: come organizzatore è tutto da scoprire, ma d’altra parte, quando Amendola e Ingrao scelsero Enrico come futuro segretario, pensavano solo a scaricargli l’onere della segreteria, non si aspettavano certo che li avrebbe messi in ombra dall’alto di una personalità che ancora non gli conoscevano.

Per quanto concerne gli aspetti più privati e familiari, li rimando ad altra lettera, ma anche qui non c’è, al momento, molto da aggiungere: l’importante è mettere da parte la fretta, che sempre ti assale e sempre prevale.

Ciao

Stefano Innocenti

 

Caro Bossino,

scusa se solo ora rispondo alla parte privata della tua e-mail (emenomail, per dirla secondo una moda lanciata da Riccardo Scateni, non da Beppe Grillo), e io non ho nemmeno la scusa del lavoro e degli impegni.

Il processo di apprendimento è lento e richiede un continuo lavorio interno ed esterno (proiettato verso l’esterno) sulle esperienze vissute, in tutti i campi: rapporti personali, lavoro, idee e persino nel campo della salute, dove ogni volta si impara qualcosa, e guai a non metterlo immediatamente a frutto. Per certi versi, ci vuole pazienza, ma per altri ci vuole invece prontezza, e, per dirla con un concetto solo, ci vuole umiltà, la capacità di mettersi sempre in discussione e di fare costantemente autocritica per migliorarsi, per cancellare le idee che si sono rivelate sbagliate alla prova dei fatti, e formularne di nuove. Chi si ritiene arrivato è fottuto, perché non si sforzerà di migliorarsi e non arriverà mai. Quindi, il fatto che tu vorresti tutto e subito è solo in parte un difetto, dipende da come lo applichi: se lo applichi nel senso di voler subito migliorare il molto di buono che c’è in te, anche quello è buono.

Comunque, tieni conto che queste cose che ci diciamo non sono finalizzate a senso unico, ma sono variamente applicabili, e faccio un esempio: quando mi chiedesti come prepararti al colloquio di lavoro e io ti dissi preparati a sostenerlo in inglese, sembrava un salto triplo, invece di un normale salto in lungo, ma tu sai che è servito; ora ti dico: scegli bene il momento per il rilancio. Oggi come oggi, si pensa al contrario: in un momento come questo, quando tutti sono impegnati a consolidare quello che hanno e non si sognano di fare scelte coraggiose, io credo che tu debba pensare bene a cosa è giusto fare per i tempi medi e lunghi, quelli che saranno fra cinque-dieci-venti anni, e farlo con il coraggio che ci vuole, senza sedersi ad aspettare, ma incominciando subito a preparare le prossime mosse. Credo che fra due o tre anni sarà già il momento per un’esperienza all’estero della durata di almeno cinque anni: ti ci devi preparare non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello manageriale, cioè come gestore di  risorse umane, come capo, insomma.

Sulle recenti primarie, mi ha fatto molto piacere che l’economista scelto da Renzi per la segreteria sia Taddei, che oltre ad essere un tecnico è anche un “compagno”. Naturalmente, è presto per qualsiasi giudizio, e mi fanno un po’ pena quelli che si affannano a giudicare. Vedremo come andrà a finire, speriamo che ora passino almeno diciotto mesi di lavoro preparatorio, perché per me, come ti ho già scritto, le vere scadenze sono decennali, e non quotidiane. Ma tu, su questo, cosa pensi? Sarei proprio curioso di saperlo. Ai miei tempi, più si era giovani, e più si aveva la tendenza a pensare in tempi lunghi, e continua a sembrarmi giusto cos’, ma ora, ho il sospetto che le cose si siano rovesciate.

Ciao. Il coraggio e la pazienza non sono in contraddizione.,

Boss

 

Carissimo ed Esimio Boss,

innanzitutto, mi spiace averti fatto attendere la mia risposta così a lungo, tra ferie, rientri in ufficio e inutili pensieri frivoli che avevo in testa. Nonostante ciò, questa attesa credo che possa aver un lato positivo, visto che mi ha permesso di darmi una calmata su molti aspetti, compreso quello di una concentrazione adeguata per rileggere e riflettere su tutto quello che mi hai scritto ed inviato.

Detto ciò, incomincerei questa prima nostra mail del 2014, rispondendo alla tua domanda a proposito di quanto tempo si deve guardare avanti per i progetti che si ha in mente. Mi sorge un pochino strana questa tua domanda, visto che la mia crescita come figlio e uomo è stata, in larga parte, opera di mamma e tua; di conseguenza, molti degli aspetti che vi caratterizzano, fanno parte anche di me e del mio modo di vedere la vita ed il mondo. Ma parlando in maniera chiara, credo che i giovani miei coetanei, e più in generale il nostro Paese ed il mondo intero, siano sotto l’influenza dell’effetto del concetto del “tutto e subito”, ovvero una concezione degli obiettivi e dei risultati che devono essere quasi necessariamente visibili entro breve tempo. Forse ti sembrerà curioso che ti risponda così, perché anch’io sotto certi aspetti risulto essere un po’ frettoloso, ma per quanto riguarda gli aspetti progettuali della vita, considero di estrema importanza una visione che sappia andare aldilà del futuro prossimo. Considero indispensabile per realizzare sogni ed obbiettivi, una oculata gestione del presente per avere delle basi solide sulle quali appoggiarsi nel futuro; non parlo solo ed esclusivamente di mere questioni economiche, ma anche di saper gestire tutte le informazioni che le esperienze di vita ti portano una volta vissute, sia lavorative che personali. Troppe volte negli ultimi mesi, anche per cose di poco conto, sono state fatte operazioni per ottenere risultati nell’immediato, creando conseguentemente dei disagi e delle problematiche, ed in alcuni casi anche piuttosto serie (esempio lampante: gli esodati). A tirar le somme, mal sopporto chi non guarda oltre il proprio naso, e coloro che pensano che ci sarà tempo di pensare al futuro: se al futuro non pensiamo da ora, un futuro non ci sarà.

Passando alla parte politica in senso stretto, non posso e neanche voglio dare un giudizio sul “compagno” Taddei. Vedendolo in TV, mi sembra una persona molto preparata e sicura sulla sua materia, ma non lo conosco a sufficienza per poter giudicare; al massimo mi sento di dire che, appunto sulla sua preparazione, mi sembra più un professore di università che un politico in senso lato, e magari questa più di altro, è la vera cosa positiva della scelta fatta. Io spero con tutto il cuore che possa riuscire a lavorare per un politica del lavoro incentrata sullo sviluppo tecnologico e sulle risorse verdi; a mio avviso, sarebbe davvero questa  una via che guarda al futuro dei prossimi 5, 10, 15 anni e anche di più. Capisco il fatto che si debbano dare sicurezze sul piano degli ammortizzatori sociali e sul taglio del costo del lavoro (punti che ha nominato dal cosiddetto “Job Act”), però è necessario già da ora guardare a cose nuove, che possano dare nuova spinta a nuovi tipi di produttività, e quindi a nuove opportunità di lavoro. Vedendo come si stanno mettendo le cose, però, non so quanto sia attiva questa visione verso il lungo periodo; troppi litigi, troppi personalismi, incentrano tutto il dibattito sul presente e sull’immediato futuro, cosa che come ti ho già spiegato, a mio avviso è sconsiderata. Permettendomi di citare Enrico Berlinguer, da uno degli scritti che mi hai mandato, la “visione individualistica” che lui teorizza, è di assoluta attualità; alimenta “la contrapposizione e l’urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo”, e ”conducono a una spaccatura e a una vera e propria scissione in due del paese”. Leggere scritti degli anni ’70-’80 e vedere che sono così profetici, come li hai definiti tu, fa pensare quasi che una parte del paese, si sia andata a cercare senza badare tanto al sottile la situazione in cui stiamo vivendo.

Mi permetto di portare alla tua attenzione una mia teoria, che ho elaborato leggendo sia gli scritti di Enrico Berlinguer, sia il libro di Francesco Piccolo. La “visione individualistica” di pochi, ha portato nel 1978 all’assassinio di Aldo Moro da parte delle BR. In un momento in cui i più alti esponenti dei maggiori i partiti italiani stavano convergendo verso la conclusione che “l’alternativa democratica” teorizzata da Berlinguer, fosse la miglior soluzione per portare avanti il nostro Paese, il rapimento Moro è stato il blocco che ha fermato questo processo. Io sono convinto, che pochi personaggi pensando solo alle loro posizioni nel partito (non nel PCI, ovviamente…), quel processo l’hanno definitivamente fatto cadere, facendo si che le BR mettessero in atto quella che poi è stata una delle pagine più brutte della nostra storia. Con questo non voglio dire che ci siano dei responsabili diretti, ma di sicuro la “visione individualistica” e la sua messa in atto, è una delle cause che portarono a quei giorni bui.

Con questa mia idea, ti abbraccio e ti saluto.

PS: per quanto riguarda le esperienze da fare, per un futuro incarico e/o lavoro all’estero, ne parliamo domenica a pranzo, se per voi va bene….

 

Caro figliolo,

sugli ultimi sviluppi della politica, non mi va proprio di arrabbiarmi per la legge elettorale. L’unica cosa che conta veramente è che non ci vogliano anni per avere il parere della Corte Costituzionale, dopo di che, se la nuova legge rispetta la costituzione (e io non ne sono sicuro), non rimane che fare tutto il possibile per vincere le elezioni. Punto. Niente scissionismi, per carità: quale che sia il responso, bisogna rimanere uniti e compattarsi per vincere, come dice anche Francesco Piccolo, pentito di aver votato per Bertinotti nel 96. C’è solo un aspetto che io trovo inquietante, e, ahimè, non lo vedo percepito con allarme come a mio avviso meriterebbe. Parlo della concomitanza tra premio di maggioranza e eliminazione della doppia lettura delle leggi. In sostanza, avremo che la Camera dei Deputati, in cui ci sarà la maggioranza assoluta garantita dalla nuova legge elettorale, non avrà nessun contraltare, e quindi, per una intera legislatura di cinque anni, potrà legiferare con un unico controllo, quello del Capo dello Stato, sempre che ce ne sia uno con le palle, e solo a posteriori, e magari dopo molto tempo, le leggi saranno sottoposte al vaglio della Corte. Da qui alla dittatura della maggioranza il passo è breve, e ben se ne erano accorti i costituenti degli Stati Uniti d’America già circa 225 anni fa, quando avevano inventato il bicameralismo con due leggi elettorali diverse come ostacolo alla dittatura della maggioranza. E non ne faccio un problema di chi possa conquistare tale potere: non è giusto, e basta.

Come ben sai, io sono sempre stato un convinto fautore del bicameralismo, ma purtroppo, ormai il bicameralismo perfetto viene visto dai più in due modi, entrambi negativi: come simbolo degli sprechi dello Stato e come ostacolo alla legiferazione rapida e incisiva. Per quanto riguarda il primo aspetto, sai come la penso su questi “simboli”: tutte balle a cui stare attenti, perché poi ti si ritorcono contro. I veri sprechi sono altri, non certo il miliardo che promette Renzi, e che poi magari non manterrà neppure. Prendersela con i simboli è un modo per deviare l’attenzione dai problemi veri. Il secondo aspetto, è un’altra storia pericolosa, perché è bene invece che le leggi siano attentamente meditate, non promulgate in fretta e furia.

E qui mi riallaccio alla tua mail del 17, quando dici del “tutto e subito”, di risultati che si devono vedere in tempi brevi. Immagino che tu lo scriva pensando anche a qualcosa che è successo da voi in azienda, e che magari si ripete un giorno sì e l’altro pure; forse, tu lo vedi come una coincidenza con la mentalità delle ultime generazioni, quelle che sognano di vivere senza lavorare, ma non vogliono rinunciare a niente né oggi, né domani. Purtroppo, non è solo questo, e anche se fosse solo questo sarebbe comunque gravissimo. Il vero problema è che il mondo si sta avviando sempre di più a funzionare tutto così, in maniera convulsa. Come già scrivevo tempo fa, la finanza ha mosso guerra all’economia e sta vincendo, e la finanza attuale lavora su tempi rapidissimi, quelli dei movimenti di capitali dettati dal computer proprio perché i tempi sono diventati così convulsi che nessuno è più in grado di governarli senza l’aiuto dell’informazione automatica. Ma al di là di questo fenomeno, che potrebbe anche trovare la sua soluzione di tipo fiscale o legislativo, anche l’economia oggi funziona così. La Fiat acquista Chrysler, invece di progettare auto aggiornate, e intanto rimane indietro in tutto: non solo l’ibrido e la trazione elettrica, ma anche la qualità totale, il miglioramento continuo, ecc. L’Enel ha come AD il suo ex direttore finanziario, che sa di elettricità quanto io so di meccanica quantistica: ne ho un profondo rispetto, ma ho difficoltà a capirla. È dai tempi di Tatò (Francesco, non Antonio) che le cose vanno così, e anche se l’Enel è tornata ad occuparsi solo di energia elettrica e ha lasciato la telefonia, l’immobiliare e tutto il resto che Tatò aveva voluto, di piani industriali non se ne vedono da tempo immemorabile, e senza piani industriali non si prepara nessun futuro, non si creano nuovi posti di lavoro, se non in maniera marginale.

Non è un discorso facile: tu dici di una politica del lavoro centrata sullo sviluppo tecnologico e sulle risorse verdi, ma non so né se basti, né se sia la soluzione migliore.  Ho riflettuto molto su questo aspetto, e non sono riuscito ad arrivare ad una conclusione convincente. L’unica cosa di cui sono sicuro è che sia necessario ripartire da molto a monte, perché ora siamo carenti di un gran numero di dati essenziali, e le terapie che vengono proposte normalmente, compresa quella dell’economia verde, mi sembrano insufficienti. In realtà, bisognerebbe fare un esame ben più accurato delle necessità lavorative, cioè  quanti e quali posti di lavoro occorreranno in Italia nel futuro prossimo e in quello lontano. Naturalmente, la stessa analisi andrebbe fatta su molti altri argomenti, arrivando quindi a dire quante e quali case, quali servizi sanitari, quale giustizia, quale scuola, quali infrastrutture ecc. pensando alla popolazione che l’Italia, o meglio l’Europa, avrà fra cinque, dieci, venti anni e a quali saranno le sue esigenze materiali e immateriali.

Ma parliamo pure del lavoro, che forse è il problema più urgente, anche perché non bisogna dimenticare che oltre a pensare ai nuovi lavoratori, è necessario pensare anche a quanti perderanno il loro lavoro attuale perché inserito in un settore che fra qualche anno non esisterà più. È un processo ineluttabile. L’esempio classico è quello del tessile che, in Italia, esiste ormai solo con poche realtà, con produzioni di alto pregio, importanti, ma quantitativamente modeste, mentre un tempo l’industria tessile italiana dava lavoro a centinaia di migliaia di operai e operaie. Da questo processo non ci si salva, e allora occorre progettare il nuovo, ma un nuovo che consenta di dare comunque lavoro e salario a (poniamo) venticinque milioni di lavoratori e lavoratrici, tra dipendenti e autonomi. Può bastare l’economia verde? Credo proprio di no. Possono bastare la moda, il turismo e il lusso? Ne dubito molto. Temo che le soluzioni siano molto più complesse, e trovo difficile persino indicare in quale direzione cercarle, anche se credo che i numeri siano così alti da richiedere comunque un ancor forte ricorso all’industria manifatturiera, magari essa pure di tipo nuovo.

Questo è il compito della politica: indicare le soluzioni per le cose di cui sopra, cioè il lavoro, la casa, la sanità, la giustizia, la scuola, pensando all’avvenire di milioni di persone che hanno il diritto di vivere dignitosamente e serenamente. È un compito difficile, un lavoro che richiede molti e diversi contributi, che non si fa a suon di slogan, ma con un duro e paziente lavoro, che deve dare luogo a progetti complessi e allo stesso tempo flessibili, per poter essere adattati ad un futuro che ci potrebbe riservare sorprese di qualunque tipo. Lasciare tutto ciò al “mercato” è un suicidio dell’intelligenza, ma lo è anche concentrare l’attività politica sulle elezioni e le alleanze.

Per questa volta, ci fermiamo qui. Tante cose meritano ulteriore approfondimento, ma le lascio per una prossima occasione. Nel frattempo, mi spiegherai come giungi alla conclusione che la visione individualistica ha portato all’assassinio di Aldo Moro, perché quello non l’ho capito.

Ciao

Stefano

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