Punto di non ritorno

Lo abbiamo già superato? E in cosa?

Fino ad oggi, abbiamo parlato di punto di non ritorno per l’effetto serra, se e quando lo avremmo superato e cosa sarebbe accaduto dopo: a quel punto, tutto sarebbe stato inutile, e qualunque provvedimento non avrebbe più potuto deviare il corso degli eventi dallo scioglimento dei ghiacciai, dall’aumento del livello dei mari e dalla desertificazione delle aree emerse rimaste. Oggi, di fronte agli eventi che si verificano in Groenlandia, ce lo chiediamo con maggiore apprensione: abbiamo già superato il punto di non ritorno? E ora, cosa accadrà? Quanto tempo abbiamo a disposizione per parare i prossimi colpi? Stavolta ascolteremo le solite cicale, o i nuovi oscurantisti, o finalmente ci affideremo alla scienza?

Ma, sempre alla luce della cronaca, dobbiamo chiederci se abbiamo già superato il punto di non ritorno anche su altri due aspetti fondamentali: è ancora possibile salvare la democrazia in Italia? È ancora possibile pensare ad una società che bandisca l’uso della violenza?

La democrazia in Italia: attualmente, non vengono messe in discussione le Istituzioni, che sembrano ancora salde, ma bisogna capire fin dove può portarci questa tendenza a rafforzare alcuni poteri a danno di altri, se è destinata ad andare a sbattere, come io spero, o se possa un giorno esondare fino a mettere in discussione la Costituzione della Repubblica. È chiaro che bisogna stare pronti ad affrontare il caso più nefasto, ma non è semplice indicare i mezzi per tale contrapposizione. Intanto, credo che sia necessario e urgente mettere in campo idee e narrazioni diverse da quelle fin qui espresse, in grado di agire sulla società: la politica crede di determinare le scelte, ma invece è la società che le genera, e la politica le subisce. Questo lo hanno capito per primi proprio i populisti, e in questo sta buona parte del loro successo. Gli argomenti su cui insistere subito sono ancora quelli su cui è possibile formulare proposte legislative in tempi brevi, sostegno ai ceti più deboli, disciplina delle migrazioni di massa e disciplina dei mezzi di comunicazione di massa, ma sempre facendo molta attenzione a come li si affronta, perché sono tutte armi a doppio taglio.

Società non violenta: le sparatorie che si susseguono negli Stati Uniti non sono quelle dei film western, sono molto più serie e sono solo la punta dell’iceberg, in quanto altre e più gravi violenze avvengono quotidianamente in tutto il mondo, con minore copertura mediatica. Violenza chiama violenza, è sempre stato così, e non c’è speranza di rimediare a essa con ulteriore violenza repressiva. Bisogna invece spezzare la catena, tenendo alta la guardia, ma operando per ridurre le tensioni e lavorando sul lato finanziario, sugli spostamenti di valute, per verificare il percorso dei traffici di armi e le forme di finanziamento della violenza e del terrore. È pur vero che quanto accade negli Stati Uniti sembra il frutto di improvvisazione, agevolata dal facile accesso alle armi da fuoco, e non da organizzazione, per cui è ancora più difficile intervenire efficacemente, ma, come si diceva, altre violenze avvengono in molte parti del mondo, meno vistose solo perché meno coperte dai mezzi di comunicazione, o rigorosamente censurate dagli oligarchi locali. Quella che va combattuta è la logica del profitto dell’industria delle armi, e sarà una guerra durissima, perché la loro lobby è potentissima e in grado di condizionare la politica di molti stati.

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