La rivolta generazionale che alimenta il terrorismo

Mi ha molto colpito, il 4 agosto su Repubblica, l’articolo di Ilvo Diamanti dal titolo “La rivolta generazionale che alimenta il terrorismo”, e con il sottotitolo, più significativo del titolo stesso “Diventa sempre più urgente trovare il senso dell’odio che sale intorno a noi”.

Dice il sociologo che i terroristi invocano la “guerra jihadista”, ma che si tratta di una spiegazione che non spiega niente, perché il legame degli autori degli attentati con Daesh è debole, persino evanescente. Le rivendicazioni di Daesh nei confronti di questi attentati sono tardive e danno spesso l’impressione di essere false e improvvisate, per farsi vanto di delitti altrui. Le vere ragioni dell’odio vanno cercate altrove e, spesso, all’interno della nostra società, quando non addirittura all’interno di noi stessi. Diamanti non dice esattamente così, ma mi viene spontanea questa interpretazione.

La spiegazione più frequentata fa riferimento alla marginalità sociale dei terroristi. Cresciuti nelle periferie e spesso finiti in carcere per vicende di ordinaria criminalità, hanno coltivato nuove identità con l’incontro casuale con l’Islam radicale, ma la rivolta contro un destino di marginalità trova un senso più preciso in prospettiva “generazionale”: una generazione perduta e sperduta, oggi alla ricerca di un’identità che famiglia e società non sono state in grado di conferire.

Così, il loro Islam non è quello dei loro genitori, integrato e moderato, ma un Islam mitico, che offre loro motivo e riferimenti per realizzarsi contro i genitori, perché i giovani terroristi sono tutti francesi di seconda generazione. Hanno studiato in Francia, in mezzo ad altri giovani francesi, di cui condividono la lingua e gli stili di vita, ma sono afflitti da un’identità incompiuta, marginale. Non si sentono e non vengono sentiti francesi. E lo stesso avviene nei Paesi d’origine, in cui non si riconoscono e dove non vengono riconosciuti. Sono sradicati dal mondo.

Anche i giovani italiani, dice Diamanti, vivono un’identità imperfetta, perché frustrati dal deficit di futuro: sanno che molti di loro non raggiungeranno la stessa posizione sociale dei genitori, a differenza delle generazioni precedenti. Questo non si estrinseca, per ora, in una rivolta violenta come quella dei loro coetanei francesi perché in Italia la soluzione perseguita è diversa. I giovani preferiscono andarsene altrove, emigrare, e, spesso, per non tornare. Così, i figli di immigrati, sempre più numerosi in Italia, correranno meno il rischio della marginalità, perché stanno divenendo maggioranza nelle scuole di molte regioni, e saranno, fra qualche anno, i giovani più numerosi in Italia. E se vorranno affrontare i problemi della loro generazione, dovranno seguire l’esempio degli altri giovani italiani e dei propri genitori. Cioè: emigrare, riprendere il viaggio alla ricerca di un futuro sempre più ipotetico.

Fin qui, in rapida sintesi, il pensiero del sociologo, che si concentra giustamente sui comportamenti che portano ad atti di violenza inaudita, come quelli recenti in Francia. Ma l’odio non si esaurisce qui. L’odio che sale intorno a noi è anche un odio pienamente autoctono. Questo, probabilmente, esula dal discorso del sociologo, e non corrisponde a una sua sottovalutazione di altri fenomeni. D’altra parte, Diamanti insegna in una università francese, ed è logico che veda le cose da quella prospettiva, ma io suggerirei di andare a vedere cosa è successo in UK, dove si è votato per l’uscita dalla UE grazie al voto degli anziani, persone della mia età e oltre, mentre i giovani erano schierati a favore dell’Europa. Non è solo il vecchio isolazionismo britannico, ma anche e soprattutto un senso di incompiutezza che richiama quello dei francesi di seconda generazione e il conseguente odio per tutto ciò che ha determinato questa incompiutezza, senza pensare che con la globalizzazione il mondo si avvia a una incompiutezza globale inguaribile, con la quale purtroppo diverrà necessario convivere. Insomma, l’odio in UK ha origine negli anziani, e non nei giovani, e io credo che la situazione italiana sia più simile a quella britannica che a quella francese. Da noi c’è sicuramente una incompiutezza giovanile causata da quello che dice il sociologo (furto di futuro), ma c’è anche una incompiutezza diversa, che ha sede negli anziani e nella loro insicurezza, dovuta principalmente al ridimensionamento del welfare in Italia, come in UK e in molti altri Paesi. Su questa sarà necessario lavorare prioritariamente, perché per gli anziani non c’è lo sfogo dell’emigrazione, e la prospettiva è quella della possibilità che la rabbia degli anziani porti anche da noi al rifiuto di un futuro sentito come una minaccia. Nella più nera delle ipotesi, al distacco dal nostro Continente e alla perdita della nostra democrazia, non attraverso l’uso della violenza, ma semplicemente con il loro voto. Mi auguro che ciò non possa avvenire, ma per metterci al sicuro è necessario uno scatto di dignità, una assunzione di responsabilità da parte delle generazioni adulte, che finora è mancato.

Post Correlati